martedì 30 maggio 2017
La genesi del "Manifesto di Ventotene" è ormai lontana nel tempo. Risale a oltre 75 anni fa, più di tre quarti di secolo. Quando Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni lo elaborarono, nell'isola pontina dove erano confinati dal fascismo, mancavano ancora 4 anni alla fine della seconda guerra mondiale. Si può comprendere quindi se, per certi aspetti, il documento, considerato tra i primissimi testi ispiratori dell'unificazione europea, suoni oggi un po' datato. Si pensi all'esplicita vena "leninista" che in più punti lo attraversa, contraddicendone, forse anche inconsapevolmente, la denuncia dei totalitarismi che avevano condotto ai disastri bellici. Oppure all'imperiosa richiesta di abolire il Concordato, sottoscritto appena 12 anni prima da Italia e Santa Sede: con buona pace di letture ideologiche laiciste dure a morire, i fatti hanno dimostrato che la collaborazione fra le due entità registra un bilancio largamente positivo per il nostro Paese. Basterebbe solo ricordare i 25 milioni di pasti, evocati di recente dal cardinale Bagnasco, che la Chiesa cattolica ha fornito l'anno scorso ai poveri della Penisola.
Nondimeno, la forza ideale e simbolica del Manifesto (ma anche la sua carica profetica nel denunciare la minaccia mortale dei nazionalismi esasperati) continua a esercitare un notevole fascino. Lo dimostra l'evento che, la scorsa settimana, ha visto una trentina di liceali provenienti da Roma, Berlino e Parigi riunirsi in quel lembo di terra bagnato dal Tirreno, per rileggere e provare ad attualizzare la "magna carta" del federalismo continentale. In realtà al progetto, promosso dall'associazione "La nuova Europa" con numerosi patrocini pubblici e privati, i teenagers dei tre Paesi fondatori dell'Ue stavano lavorando nei rispettivi istituti di provenienza già da febbraio. E nel raduno concluso sabato hanno tirato le somme di un tentativo di "riscrittura" più aderente alle loro necessità odierne.
Per 4 giorni, dunque, le tre pattuglie di studenti hanno lavorato fianco a fianco, discutendo fra l'altro di diritto allo studio, libertà di circolazione, problematiche sociali, nel contesto di un campus internazionale su presente e futuro dell'Unione, denominato "Ventotene Europa festival". Ne è scaturita una "dichiarazione" in 13 punti che è stata consegnata tra sabato e ieri alla presidente della Camera Laura Boldrini e al presidente del Parlamento di Strasburgo Antonio Tajani.
Una delle parole chiave risuonate con più insistenza nel confronto trilingue – unità – è stata forse la più ovvia, ma non certo la più superflua, visto il clima che, nonostante l'esito delle elezioni in Olanda e Francia, permane largamente ostile a un rilancio e al rafforzamento dell'edificio comunitario. C'è davvero da rallegrarsi per iniziative del genere, soprattutto perché coinvolgono gli "euromillennials", vale a dire una generazione nata con un solido "dna" comune, incline a sentirsi spontaneamente cittadina di un'unica grande realtà sovranazionale. E tuttavia è una generazione che, privata com'è di riferimenti a valori troppo spesso denigrati o semplicemente ignorati – come l'amicizia, la solidarietà, la fraternità, la dedizione alla cosa pubblica – e sopratutto di esempi viventi capaci di incarnare tali valori, finisce per trovarsi esposta ai peggiori venti neonazionalisti.
In questo senso, colpisce anche la coincidenza temporale dell'incontro di Ventotene con il G7 di Taormina, dove di spirito unitario non ne è circolato molto. Perciò, ai trenta studenti rientrati in queste ore nelle rispettive classi, potrà servire in futuro meditare anche quello che Luigi Salvatorelli scriveva, auspicando l'unione di tutte le forze del bene in un solo schieramento trasversale di cattolici e laici, nell'editoriale del primo numero de "La Nuova Europa", il 10 dicembre 1944: «L'Europa non può salvare sé e gli altri se non ritrovando se stessa, risuscitando, ricreando lo spirito europeo; spirito fatto di equilibrio e di armonia, di totalità e di distinzione, di razionalità e di moralità».
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