giovedì 15 gennaio 2015
Tra i millenni della Cina e i secoli di Roma, un vuoto spazio in tempo immoto. Namès, pascolo, mare d'erba, foreste, deserti, immensa steppa. Orde di popoli, terrea via lattea, vi si susseguono accavallandosi. Il regno delle tende, degli armenti, forgia di ferro nel fuoco uomini armi cavalli, cova vendetta. Le terre coltivate, le opulente città dalle possenti mura vedranno la paura, ne saranno annientate.È un guerriero coperto di ferro su un possente cavallo a segnare il trapasso dall'età classica all'età di mezzo. Tempo scaduto per le armate imperiali: granitici quadrati di proletari appiedati. Croci sulle rovine di Roma, monaci e guerrieri, castelli e monasteri a vegliare una nuova aurora. Garriscono nel vento gli stendardi dell'Arcangelo Michele, principe delle schiere celesti. Infanzia della Cristianità, civiltà d'occidente, dove tramonta il sole, dove le cose vanno a compimento. Finis terrae. I bardi dei Celti stilano il romanzo: eroiche gesta di cavalieri erranti.Per questo, che è l'inizio del mio mondo, intreccio il mio racconto. Non fantascienza, non superstizione, né scheggia di un complotto oscurantista reazionario ma carne, sangue, lacrime e sorrisi, dote di una condizione umana che non fluisce nel vuoto dal vuoto, ma si riconosce creata, generazione su generazione.
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