mercoledì 12 novembre 2008
In un altro dei suoi bellissimi, eruditissimi, intelligentissimi libri, La folie Baudelaire (Adelphi, pagine 432, euro 36,00), Roberto Calasso stempera le sue ossessioni questa volta anatomizzando la temperie artistica dell'Ottocento, con Baudelaire, appunto, e Ingres, e Delacroix, e Degas fino alle soglie del Novecento (c'è anche Proust). Queste, in poche righe, le principali ossessioni di Calasso: 1. L'ineluttabilità dell'abiezione come passaggio alla rinascita; 2. Il sacrificio cruento come necessario lasciapassare propiziatorio; 3. La ricerca del contatto con gli dei pagani che tuttora si celano in mezzo a noi. Ecco alcune citazioni testuali per ciascuna delle qui procustizzate ossessioni. Quanto alla prima: «Baudelaire fu dandy soprattutto nella rovina» (p. 92), con infallibile olfatto nel cogliere «odore di distruzione» (p. 36); «vedere quei disegni [è Baudelaire che parla] mi ha fatto accedere a declivi immensi di fantasticheria, più o meno come un libro osceno ci precipita verso gli oceani mistici dell'azzurro» (p. 177); «come se soltanto a prezzo dell'attraversamento di quelle sterminate plaghe di bêtise fosse possibile volgersi verso un bene che altre età non avevano conosciuto» (p. 184); «sì, c'è una catastrofe in quest'opera, come in tutta la storia dell'arte francese a partire dal 1870», scrive Halévy " e Calasso sottoscrive " a proposito di Degas, «ma in questa catastrofe nessuno ha tratto dalla propria disperazione risultati così magnifici» (p. 281); «moderno " nuovo " décadence: tre parole che si irradiano in ogni frase di Baudelaire, in ogni respiro. Scinderle significherebbe dissanguarle» (p. 337). Quanto al sacrificio: Baudelaire a Ingres preferisce il rivale Delacroix, il cui rosso è «lago di sangue infestato dagli angeli malvagi» (p. 151); e a proposito del quadro dedicato alla Morte di Sardanapalo, Baudelaire-Calasso scrive: «Mi è successo più di una volta, guardandolo, di sognare gli antichi sovrani del Messico, quel Montezuma la cui mano abile nei sacrifici poteva immolare in un giorno solo tremila creature umane sull'altare piramidale del Sole» (pp. 152-153). E bisognerebbe citare l'intero capitolo del Sogno del bordello-museo, in cui esplicitamente si fa cenno al sacrificio del cavallo in sostituzione dell'uccisione del re, secondo la dottrina dell'India arcaica, di cui Baudelaire sarebbe stato inconsapevole portatore (o avatar), ultimo anello di una catena esoterica (p. 20). Infine, quanto a dove fossero andati a finire gli dei, questione «trattata più volte in Francia dopo la Rivoluzione» (p. 286), ecco una certezza: «Gli dei possono apparire o scomparire agli occhi umani, a seconda dei luoghi dove si insediano. Ma sempre sono " e guardano» (p. 292). E ancora, attraverso Proust: «Tutta l'arte di vivere sta nel non servirci delle persone che ci fanno soffrire se non come di un gradino che permette di accedere alla loro forma divina e di popolare così gioiosamente la nostra vita di divinità» (p. 330). Ma questi sono solo alcuni dei pericolosi scogli sommersi che abbiamo voluto segnalare per allertare l'eventuale affascinato navigatore che volesse solcare l'affascinante mare della prosa di Roberto Calasso, assolutamente tersa, azzurra, folta di scandagli critici sia letterari (meno ispirate, però, le pagine su Rimbaud) sia di storia dell'arte, densa di citazioni insospettate (Saint-Beuve accarezzato e vetrioleggiato) in un libro impeccabilmente stampato, secondo la tradizione adelphiana, e impreziosito da illustrazioni anche a colori nel testo.
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