martedì 12 novembre 2013
C'è stata una generazione di donne che non aveva i lobi delle orecchie forati. La generazione fra mia moglie e mie figlie. Mia madre portava gli orecchini: due piccoli diamanti con belle montature d'oro bianco, déco. Ce li ho chiusi in un cassetto, quasi da trent'anni (nessuno me li chiede). Mia moglie, per un periodo lungo della sua vita, non aveva i lobi forati. Anche alle nostre figlie non li forammo. Furono loro a pretenderlo, adolescenti (anni 70): e mia moglie le accontentò; anzi i lobi se li bucò pure lei. Io ci rimasi un po' male. Avevo provato a scherzare sui tatuaggi rituali, restando in minoranza. E allora non prevedevo le mie nipoti tatuatissime. La scomparsa degli orecchini si attagliava a una generazione necessariamente austera e a donne che pretendevano gli stessi ruoli degli uomini. La ricomparsa era coerente al nuovo femminismo. Ma l'esplosione dei tatuaggi temo corrisponda a una crisi di identità e di senso. Da tanto mi sono riconciliato con gli orecchini (grazie a mia madre e a una poesia di Montale): mi piacciono, ne ho regalati. Invece i tatuaggi mi turbano, quando sono invasivi e brutti (ormai sempre). Sì, mi turbano, così irreversibili. Ma che ci posso fare? Troppo spesso mi viene da concludere: prevalebunt (loro sono più forti, io destinato a perdere).
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