mercoledì 1 marzo 2017
Giovani e cucina: c'è un'altra faccia della medaglia. L'ho scoperto la settimana passata, quando in tre giorni ho visitato tre scuole di formazione, tutte incentrate sul cibo e dedicate a chi nella vita, pur giovane, s'è trovato a percorrere una strada in salita. Giovani magari esclusi dai percorsi scolastici convenzionali, a volte con drammi famigliari alle spalle, che in questi luoghi trovano pace. O meglio, trovano quella dignità che ciascuno può recuperare, per esempio stando di fronte a un lavoro. Le tre scuole (più una) sono la Dieffe di Padova, dove si insegna anche a diventare mastri birrai, la Piazza dei Mestieri di Torino, che ha una sua costola a Catania, e l'istituto don Gnocchi di Carate Brianza dove mi hanno coinvolto nell'iniziativa "Il Sapore del Bello". L'altra realtà è invece a Cassano Magnago dove l'Associazione Amicorum fa lavorare i ragazzi down in un ristorantino su prenotazione. Il comun denominatore di queste opere sociali, oltre al ristorante, è una storia di amicizia e fede di alcune persone che, anziché esaurirsi a passare il tempo al bar, è sfociata in qualcosa per gli altri. "Noi qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri" (san Domenico Savio) c'è scritto nella sala di Amicorum, ma nelle altre scuole sovente apparivano spunti di don Giussani, che una volta dichiarò che, se non avesse fatto il prete, avrebbe voluto fare il cameriere. In queste scuole si insegna a servire, a immaginare come può essere bella la vita partendo dal gusto, che poi sviluppa un premio di poesia alla Piazza del Mestieri o la creazione di piatti ispirati dai pittori, ospitati una volta al mese al Don Gnocchi. E ho visto ragazzi messisi in moto col loro cuore a servire la bellezza di un quadro, ma anche a far sì che quel piatto fosse buono come il pranzo del mercoledì a Padova. Giovani per cui Masterchef è lontano, che non sognano, ma vivono il presente, secondo il principio che ognuno è dono agli occhi di Dio. Mentre guardavo quei ragazzi pensavo ai fondatori di queste opere, alle difficoltà finanziarie e burocratiche per tenere in piedi una scuola dal valore sociale altissimo. Ma anche alle difficoltà dei ragazzi, quando alla sera ripiombano nelle loro situazioni. Eppure ogni mattina sono lì, con la loro divisa, il loro mettere le mani in pasta per arrivare a qualcosa che riesce: una ricetta, un servizio, un apprendimento di panificazione. Sono lì non per sfuggire alla sorte, ma per comprendere cos'è la gratuità e cosa vuol dire che dentro all'esperienza di un grande amore, come recitava Romano Guardini, tutto diventa avvenimento, anche la sera quando ritorni a casa. Il mondo, credo, si cambia così. Le istituzioni dovrebbero saperlo. Muterebbero atteggiamento anche loro, scoprendo che la politica sarebbe servizio.
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