venerdì 30 gennaio 2015
Se ne son visti altri di inverni senza neve, venti magrebini e tracce di sabbia sulle cime dei monti. Rose negli orti e, sui rami, gemme indecise tra urgenza umorale e l'ineludibile sentenza: Natale al balcone Pasqua al tizzone.Giornate in tinte splendenti invitano di buon mattino nei boschi, sui pascoli, dove non manca mai lavoro; giorni lividi di piogge rintanano al chiuso e ci si può concedere alla lettura o al ricapitolare gli accadimenti, ordinarli in prospettiva in attesa di verifica. Poi un mattino la porta non si apre, bloccata da una nevicata furiosa, e tocca saltar giù da una finestra per aprire un varco spalando. Sono giorni di sempre, solo più sfacciati nell'essere estremi ed inattesi; l'inquietudine che li pervade non è riconducibile a meteorologia.In una montagna che ha fatto della neve in utilizzo sportivo ricreativo l'unico orizzonte della propria economia le variazioni climatiche, naturali ed incontrollabili, si presentano come fonte d'angoscia poi diventano stati di calamità. L'accelerazione verso una tabula rasa sul passato da cui dovrebbe sgorgare il nuovo, per intrinseca benefica dinamica, alimenta un timore, già definito fobia, di consegnarsi inermi all'autodistruzione con autocertificazione prima consigliata poi imposta.
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