sabato 23 febbraio 2019
Tra cronaca e vita... Viviamo un momento di ricerca di verità dolorosa che segna il clima ecclesiale e fa emergere i danni di un modo di vedere la vita di Chiesa ferita dal clericalismo, che è l'esaltazione falsificante di un ruolo di servizio che si fa dominio puro, anzi impuro e schiaccia i piccoli. Se ne parla altrove, qui, ma alla vigilia dell'evento iniziato giovedì mi ha colpito la catechesi del Papa sulla "paternità" di Dio espressa qui con questo titolo: «Il Papa: siamo tatuati sulle mani di Dio». Infatti Lui è Padre, e noi siamo – testuale l'evocazione immaginifica – «tatuati» sulle sue mani. Vale solo per i cristiani, o solo per i cattolici? Mettiamo condizioni alla paternità di Dio? No, ma quel termine, "tatuaggio", come un timbro, fa pensare a ciò che nel Catechismo è chiamato "carattere" (in greco sphragìs) che accompagna alcuni sacramenti nel cammino della fede vissuta.
Un segnale indicatore, come quell'anello di plastica che oggi all'ingresso degli Ospedali è messo al polso del paziente, e lo accompagna fino alla dimissione: un'assicurazione di presa a carico, che segna tutto il tragitto. Ripenso all'immagine di Francesco – il tatuaggio – e torna in mente la parola di Teresa di Lisieux, santa con Pio XI (1925), Dottore della Chiesa con Giovanni Paolo II (1997), e "Maestra dei teologi" con Benedetto XVI (2011): «Il mio nome è scritto nel Cielo». Anche il mio, anche il nostro, se liberamente lo conserviamo per fraternizzare con tutti, "anello" di grazia che ci dice "fratelli" di tutti, vicini e lontani, la cui distanza dal Padre è misurata soltanto da Lui, la cui misura è essere senza misura nell'Amore che per natura è misericordia... Nel contesto di questa realtà, che ha portato a Roma i pastori di tutto il mondo, la fiducia ci dice che questi giorni non sono inutili, e che i semi di sofferenza delle vittime porteranno conversione e riparazione.
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