mercoledì 29 giugno 2016
Per festeggiare i suoi primi settant'anni, la casa editrice Longanesi rende omaggio al fondatore di cui porta il nome, il grande (benché piccolissimo di statura) Leo Longanesi, con l'antologia Il mio Leo Longanesi, a cura di Pietrangelo Buttafuoco (Longanesi, Milano 2016, pagine 256, euro 18,50).Personaggio davvero geniale, Longanesi, inventore del moderno giornalismo in rotocalco, e anche pittore, drammaturgo, editore, suscitatore di talenti. Anche Indro Montanelli ha imparato da lui, ma in versione buonista, rispetto al vetrioleggiare del maestro che peraltro, dietro le sue urticanti invettive nascondeva un solido buonsenso italiano. Fu Longanesi a “obbligare” Ennio Flaiano a scrivere il suo primo e unico romanzo, quel Tempo d'uccidere che non è la sua opera migliore, ma vinse la prima edizione del Premio Strega (1947). Ecco, Flaiano di Longanesi è il discepolo più affine e, infatti, da vero discepolo, ha compiuto il dovere di superare il maestro, almeno quanto a scrittura e disincanto.Bene ha fatto l'antologia a non rinchiudere Longanesi nella gabbia degli aforisti: di aforismi, di battute, Longanesi è stato certamente ottimo confezionatore, ma ha fatto ben altro e di più, come è accaduto a Flaiano di cui si dimenticano i racconti e le moralità, mentre si storpiano le sue battute e gliene si attribuiscono di non sue. L'antologia ci presenta un Longanesi scrittore, e quale scrittore. Aveva la capacità di cogliere il dettaglio fulminante per smascherare il provincialismo e la cialtroneria ovunque si annidassero, con la precisione indelebile di un'istantanea fotografica. E Longanesi era anche un abile fotografo come si addice a un fondatore di rotocalchi, perfino con il vezzo di firmarsi Kodak. Leggiamo: «L'attore entrò, solenne, con la testa leggermente all'indietro, come chi taglia un vento impetuoso. Si sedette, restò silenzioso per un attimo, accigliato, chiuso in pensieri certamente non banali, poi ci guardò con i suoi grandi occhi troppo espressivi per esprimere un qualunque sentimento proprio». Ancora: «Il mio cuore cigolò come un vecchio armadio, appena entrai nella sua casa. La signora mi corse incontro a piccoli salti da gazza, e le sue labbra si contrassero nello sforzo di un distinto sorriso, che sembrava preludere al parto di un uovo». Il 22 gennaio 1943 scriveva: «“Credete che a Roma verranno a bombardarci?”. “A Roma no, a Roma c'è il Papa e poi Roma è troppo bella...”. “Credo anch'io. Meglio che bombardino Milano...”. L'unità d'Italia poggia su questi ideali».L'introduzione di Pietrangelo Buttafuoco antologizza la vita di Longanesi e non spiega per bene il suo rapporto col fascismo. Longanesi era amico personale di Mussolini, compose slogan per il regime, ma forse con divertito distacco. Il famoso «Mussolini ha sempre ragione», nella sua enormità, è infatti suscettibile di lettura ironica.Alla fine della guerra prese le distanze dal fascismo e non mancò di fustigare gli antifascisti di professione: «Pettegoli e piccoli borghesi, benché ostentino un linguaggio rivoluzionario, e abbiano viaggiato il mondo e vissuto fuori d'Italia per circa vent'anni, conservano modi e preconcetti provinciali. Il fascismo, per costoro, è un nemico personale, non un avversario; un nemico da cui sono stati privati per venti anni di potere, di cariche, di privilegi, vent'anni che nessuno potrà ora restituire loro. E il loro moralismo è così meschino e cieco che li priva d'ogni libertà di giudizio. Ma quel che essi non sanno è che parlano lo stesso linguaggio demagogico del fascismo».Longanesi fondò e diresse le riviste L'italiano (1926-1942), Omnibus (1937-1939), Il libraio (1946-1948), Il borghese (1950, diretto fino al 1955); scrisse una ventina di libri (alcuni con titoli entrati in proverbio: Parliamo dell'elefante; Ci salveranno le vecchie zie?; La sua Signora; Fa lo stesso), e cinque opere teatrali. Si cimentò anche nel cinema. Il tutto in poco tempo, svelto a decidere: Longanesi morì il 27 settembre 1957, a soli cinquantadue anni.
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