domenica 13 aprile 2008
«C rudele», dice Eugenio Scalfari, è il mestiere di giornalista, perché «denuda il mondo dei fatti, delle persone, dei paesaggi non accontentandosi delle apparenze, ma cercando la sostanza. E denudare significa invadere. Il giornalista, senza spogliarsi del proprio io, invade, passa limiti che altre persone, non altrettanto curiose, non supererebbero. Il giornalista è spietato». Questa sembra anche la definizione del buon giornalismo, che Scalfari ha offerto nella lectio magistralis (addirittura!) con cui ha aperto il Festival internazionale del giornalismo in corso a Perugia e che ha ripreso da un suo libro di prossima edizione (La Repubblica, giovedì 10). Il volume s'intitolerà "L'uomo che non credeva in Dio" e così la definizione si attaglia perfettamente al Maestro, il quale prosegue: «Di qui la delicata questione della verità, visto che quella assoluta non esiste, a meno che non si sia legati a una fede o a una ideologia e in questo caso si fa un cattivo giornalismo». Dunque la qualità del giornalismo sarebbe legata all'ateismo e persino alla mancanza di idee politiche, di schemi filosofici, di ideali, di passioni civili. Naturalmente molte cose ci sarebbero da dire. Per esempio che il mettere a nudo la verità è spesso un gesto d'amore e di onestà (si pensi al chirurgo, al ricercatore) e non sempre è un'invasione, ma magari un gesto di liberazione; e che la fede può aiutare a comprendere i perché della vita, dei comportamenti, degli eventi. Limitiamoci, però, a uno sguardo alla solita zappa che tanti zappatori si danno sui piedi. Così anche Scalfari, legato com'è alla fede nell'ateismo e all'ideologia laicista (non alla laicità - che è virtù cristiana prima che "laica" -
altrimenti non avrebbe scritto queste cose). Conclusione: il giornalismo può (dovrebbe) essere fatto con e per amore: delle persone, della società, della verità e con rispetto di tutte queste realtà. Solo allora è davvero buono. Che cosa sia quello alla Scalfari lo deduca il lettore.

CENSURA MATEMATICA
La matematica non è un'opinione, ma può essere una censura e la logica, come Omero, talvolta dormitat. Il matematico Piergiorgio Odifreddi, che insegna anche logica, apprezza, in un'intervista al Corriere della sera (sabato 5) le aggressioni a Maurizio Ferrara: «Sono manifestazioni di dissenso vero, come quelle che si tenevano, anni fa, contro la guerra del Vietnam». Dove sia la logica di questo paragone non si sa: nella guerra si uccide, Ferrara vorrebbe evitare che lo si facesse anche con l'aborto. Con la stessa matematica e (il)logica sicumera, Odifreddi dice: «Su Ferrara e sul Papa chiedo il silenzio stampa». E ricorda che «lo si faceva per i brigatisti».

INTERFERENTIA IUVAT
Dalla cronaca romana dell'Unità (mercoledì 9): «Per Andrea Rivera (il chitarrista che il 1° Maggio 2007, dal palco in piazza San Giovanni usò una sorta di terrorismo verbale contro il Papa - N.d.r.) la religione deve comunicare: così, quando gli si domanda se parteciperò all'iniziativa a sostegno dell'Unità "compra due copie e regalane una", non c'è da stupirsi se, immediatamente, risponde: "Lo so io: i Testimoni di Geova, dobbiamo coinvolgerli, loro sono abituati al porta a porta». Interferentia iuvat.
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