sabato 27 giugno 2015
«Signore, nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. Se cadremo, fa che il nostro sangue si unisca al tuo innocente e a quello dei nostri morti, a crescere nel mondo giustizia e carità. Sui monti ventosi e nelle catacombe delle città, dal fondo delle prigioni, noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che solo Tu sai dare. Ascolta la preghiera di noi, "Ribelli per Amore"».Questa la preghiera di Teresio Olivelli, eliminato in un campo nazista. L'interessante articolo di Aldo Cazzullo sul Corriere di martedì mi ha fatto riaprire alcuni volumi sulla Resistenza italiana; tra i molti nomi perduti alla nostra memoria ho trovato, in una modesta pubblicazione, il ricordo di Giorgio Catti, fratello di mio marito, caduto da partigiano sulle montagne del Piemonte.Ufficiale della Prima divisione alpina Val Chisone, dopo 14 mesi di lotta lasciava la sua giovane vita sotto il fuoco nemico in una cascina di campagna. È il 30 dicembre 1944 quando un centinaio di armati che portano sulla divisa la scritta «Dio è con noi» intimano la resa a chi ha trovato rifugio tra il legname e il fieno. Non ottenendo risposta lanciano le bombe a mano e, mentre il fuoco divampa, due giovani escono sparando. Veloci le fiamme avvolgono il loro viso e portano via la vita. Qualche ora dopo una contadina raccoglierà ai piedi della salma di Giorgio un'immagine religiosa, un po' bruciata e macchiata di sangue dove era scritto: «La migliore vendetta è il perdono».Giorgio prima di entrare nei volontari della libertà aveva aiutato i compagni più giovani a salire la montagna della sua terra con spirito di fede, con l'offerta della fatica e quel respiro aperto all'armonia del mondo che le alte quote sanno offrire. Fu l'impegno delle proprie convinzioni a fargli impugnare un'arma perché anche le forze cattoliche dovessero partecipare, come tali, a questo «secondo risorgimento» e non essere accusate dalla storia di non aver cercato la giustizia e difeso la libertà.Egli avrebbe voluto continuare la sua strada di apostolo a fronte alta, con il proprio dovere compiuto e la sua decisione fu la giusta sintesi di una giovinezza offerta ai più poveri delle periferie di Torino, dove consumava quella carità che era la ricchezza del suo animo. Aveva detto san Paolo: «Anche se dessi il mio corpo alle fiamme, ma non possedessila carità, non mi gioverebbe a nulla». Al sacrificio di tanti giovani di differenti ideali, dimenticati forse dalla nostra vita irrequieta, dobbiamo la nostra libertà. I loro nomi sono scritti sulle tombe di pietra e nel cuore di Dio.
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