domenica 31 gennaio 2010
«I giudici: da genitori gay nessun disagio per i figli». Titolo venerdì di "Repubblica" (p. 25), e sommario bis tranquillizzante: «Per i giudici i genitori gay non sono causa di disagio per i figli». Due semplici osservazioni. La prima sulla verità delle parole. "Genitori": è serio usare il termine in casi come questo? Possono due persone dello stesso sesso essere entrambi «genitori» di uno stesso figlio? E un figlio essere davvero figlio di due omosessuali? I contorcimenti della lingua talora dicono, o dovrebbero dire, che qualcosa non fila, e che forse si dovrebbe riflettere. La seconda osservazione viene spontanea leggendo che l'affermazione di «nessun disagio per i figli» è in un «provvedimento del Tribunale». Anche qui due pensieri. Il primo dice che l'affermazione non è di carattere giuridico, ma largamente psicologico, affettivo, comportamentale, e quindi sarà basata su opinioni autorevoli di psicologi e studiosi del comportamento, che tuttavia nella circostanza " a parte la falsificazione dei termini visti sopra " non potranno che riferirsi al caso specifico esaminato dal Tribunale, e quindi affermare che «quelle due» persone non sono causa di disagio per «quei» ragazzi. Perciò titolo e sommario, che universalizzano la conclusione, è un imbroglio: come se un tribunale assolvesse da un furto una signora coi capelli rossi e si scrivesse che tutte le signore coi capelli rossi sono innocenti dai furti. Vizi giornalistici fissi. Ieri infatti, ritornello a ogni fine gennaio, poiché il Papa ricorda alla Rota l'indissolubilità del matrimonio, leggi che «il Papa sferza», «bacchetta» e «striglia». Riso am"eno!
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