mercoledì 22 agosto 2018
La notte del 13 dicembre 2012 ha accolto decine di naufraghi, salvati dall'abisso della «Costa Concordia». Ora però è lei a richiedere aiuto, la chiesa parrocchiale di Giglio Porto: il riscaldamento andrebbe reso più efficiente, il presbiterio necessiterebbe di restauro, i giardinetti attigui all'edificio potrebbero diventare un piccolo parco per i bambini dell'isola. Ma «siamo pochi, siamo pochi, nella stagione morta 700 anime, non ci sono i soldi per questi lavori», continua a ripetere Argentino Pini. Lui, 76 anni e una vita spesa per il mare, in quella chiesa non ci mette mai piede. Eppure ha radunato tutti i suoi 25 modellini di velieri realizzati in 35 anni di passione, li ha esposti in un vecchio locale a piano terra e all'ingresso ha esposto un cartello scritto a mano: "Offerte per la parrocchia".
Don Lorenzo Pasquotti non si meraviglia: «Qui la Chiesa non è avulsa dal contesto sociale, fa parte di un'identità condivisa anche da chi è non dico anticlericale, ma quantomeno aclericale». Cosa abbia materialmente fatto Argentino la notte del naufragio, il vecchio marinaio dalla barba bianca non vuole dirlo. Solo ricorda che «noi gigliesi abbiamo tante famiglie perse in mare, e quella disgrazia della crociera non poteva non entrarci subito nel cuore». Stessa lunghezza d'onda per don Lorenzo: «Sì, quella notte ho aperto ma chiesa, ma come tutti qui ho fatto quello che ho potuto, ho fatto quello che avrebbe fatto Gesù. Non voglio passare come eroe». È proprio vero: qui al Giglio il mare profuma di salsedine e solidarietà.
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