sabato 4 agosto 2018
Non solo il regno animale è per Gesù riserva da cui attingere per aiutare a scoprire la paternità divina, a esso si affianca in modo stupendamente complementare quello vegetale. La specie cui Gesù indirizza sono i gigli del campo. Essi possono essere identificati con l'anemone comune, pianta simile al papavero, che nella stagione primaverile ricopre abbondantemente tutta la regione collinare della Terra Santa. In Cantico 5,13 si legge: «Le sue labbra sono gigli che stillano fluida mirra». Sulla scorta di questa citazione bisogna allinearsi al solco interpretativo che porta a colorare in vermiglio piuttosto che in bianco i fiori in questione, in questo caso il loro rossore rimanda ai manti purpurei dei sovrani e il paragone con Salomone diventa più comprensibile. L'azione che Gesù chiede di compiere nei loro riguardi (katamantháno) indica uno studio attento, quasi un tuffo fino alle loro radici, come indica il prefisso del verbo. Facendo ciò si noterà che ai piedi dell'esile gambo non ci sono né telai, né filati preziosi. Da dove dunque tanta semplice eleganza? Di nuovo il Maestro rimanda all'azione divina. Il verbo usato qui per presentarla (amphiénnymi) è il medesimo che si trova in Mt 11,8 e Lc 7,25 per indicare i lussuosi abiti dei cortigiani. La cura di Dio per i fiori del campo rivela il suo buon gusto oltre che la sua bontà e smaschera la poca fede degli ansiosi discepoli.
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