venerdì 2 ottobre 2020
Leggendo la bellissima memoria di Marisa Bulgheroni sulla sua storia di coppia, in ricordo del marito defunto (Stella nera, Il saggiatore), mi è venuto di ricordare un libro simile, e che a suo tempo (1964 o dintorni) molto mi commosse, Breve come un sospiro di Anna Philipe, vedova del grande, del grandissimo attore francese Gérard Philipe. Grande e sfortunato, perché morì negli anni '50 essendo, come attore, al massimo delle sue possibilità. Il suo ruolo cinematografico più famoso, si può quasi dire mondialmente, fu quello di Il diavolo in corpo (aveva 24 anni ed eravamo nel 1946, il film era tratto dal bellissimo romanzo autobiografico di Raymond Radiguet sul tragico amore di un adolescente con una giovane signora sposata il cui marito è al fronte, Prima guerra mondiale); quello teatrale che lo consacrò come il miglior attor giovane della sua generazione fu il Cid di Corneille, per il Théatre National Populaire di Jean Vilar. Ma, tra cinema e teatro, fu l'Idiota di Dostoevskij, Fabrizio del Dongo e Julien Sorel, Il principe di Homburg e il Faust di nuovo giovane, il perfido Valmont di Laclos e l'estremo Caligola di Camus, lo scatenato Till Eulenspiegel e l'ardito Fanfan-la-Tulipe imitatore felice di D'Artagnan per una coproduzione franco-italiana dove era con lui un'aurorale Lollobrigida bella e sciocchina (felice il tempo delle coproduzioni cinematografiche tra due Paesi, frequentissime tra Italia e Francia,! un modello che avrebbe ancora un senso nonostante e contro la globalizzazione di stampo Hollywood/Netflix). E ne dimentico: una carriera formidabile, anzi unica nella storia del Novecento. Eroe romantico e modernissimo, Philipe divenne, come succede molto di rado anzi quasi mai, un mito per il pubblico francese più popolare (grazie al cinema) e per il pubblico francese più intellettuale ed esigente (grazie al cinema e grazie al teatro). Eroe romantico ma anche modernissimo; borghese aristocratico proletario oltre le classi; di una grazia e simpatia non studiata, spontanea, dove la cultura aveva il suo peso; bello di una bellezza non armonica ma con tutti i segni dell'intelligenza e della gioventù. Emanava una simpatia che lo fece amare anche dal pubblico maschile, e la sua morte precoce fu per i francesi un evento drammatico, un lutto nazionale. Molti hanno cercato di imitarlo ma nessuno ci è più riuscito: Gérard Philipe è stato unico, a suo modo e nel suo tempo, fino a sfiorare il '68. Ho l'impressione che anche nel suo Paese pochi ormai lo ricordino, anche se è sempre citato tra i loro grandi del Novecento. La tv e le cineteche qualcosa fanno, e in ogni caso fanno infinitamente di più di quanto accada in Italia per i nostri grandi (e per restare a un confronto Francia-Italia, avrebbe forse altrettante e più ragioni che nell'Ottocento un intellettuale francese che visitasse il nostro Paese come a suo tempo il Lamartine a parlare, perlomeno per le nostre istituzioni culturali, di una “terra di morti”. Ci scandalizzeremmo, ma a torto...).
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