venerdì 14 agosto 2020
Penso a quel mattino di due anni fa. Penso a quelli che si sono svegliati come se fosse un giorno come tanti. Hanno preso la macchina, magari per andare in ufficio perché lavoravano ancora alla vigilia di Ferragosto. Oppure partivano per le vacanze. Non parlavano al cellulare mentre guidavano, non sorpassavano a destra in autostrada, non avevano bevuto, andavano piano. La strada era quella di sempre. Tutto scontato, tutto normale. Poi imboccano quel ponte che sta lì da una vita. E che invece una mattina di mezza estate è caduto giù. Perché il destino pesca nel mucchio, punisce anche chi fa tutto per bene. Loro si fidavano. Si fidavano dell'idea che se passi su un ponte, quello non crolla. Si fidavano della professionalità di chi lo doveva controllare, della perizia di altri uomini come loro. Non pensavano alla sfortuna, non è quella che può governare il mondo. È la fiducia che lo tiene in piedi, senza quella non può esserci una comunità, uno Stato, una democrazia. Ma neppure una speranza. Senza fiducia crolla la convivenza, prima ancora dei ponti. Invece, soprattutto ora, abbiamo bisogno di certezza. Di essere sicuri che chi costruisce una strada, un palazzo, un binario o qualunque altra cosa, lo faccia con coscienza. In modo che nemmeno il destino possa frantumarlo. Confidare nei doveri è un nostro diritto. E Genova per noi è una promessa. Che dobbiamo a loro.
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