martedì 9 luglio 2019
Ci processarono tutti in contumacia. Il genocidio era stato perpetrato sotto i nostri occhi e non avevamo fatto nulla per impedirlo. Le Nazioni Unite avevano definito un genocidio come «l'atto che mira a distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». La distruzione dei portatori di sogni, non menzionati nella citata definizione, fu particolarmente grave perché rivelava il punto di non ritorno per il futuro della società. Non può essere considerato casuale che i sogni, per anni, siano stati detenuti, schiavizzati, bombardati, affondati nel mare o perduti nel tentativo di attraversare il deserto ormai militarizzato. Ci si era abituati alle guerre perché lontane e ai morti perché invisibili. Si viveva la vita e la storia come una semplice successione di avvenimenti slegati dalle scelte operate dalla politica di quei tempi. Buona parte della gente consumava il tempo senza accorgersi che questo bene prezioso non avrebbe dovuto essere messo in vendita. Non si sapeva esattamente chi e quando si decise che i sogni avrebbero costituito un pericolo per le generazioni future. La società era stata organizzata in modo da mantenere sotto controllo ogni velleità di cambiamento al di fuori delle norme stabilite dal potere. Leggi, decreti, ordinanze, precetti, comandamenti e codici videro crescere il loro peso nella vita quotidiana. L'unica realtà che si ostinava a evadere dal sistema di sorveglianza di ultima generazione era, appunto, quella dei sogni. Per questo, con determinazione, si era deciso di distruggerli eliminandone i portatori. Così s'inventarono i campi di detenzione e di lavoro forzato per quanti non rinunciavano a nutrire e a trasmettere ad altri loro sogni. Frontiere erano state a loro volta inventate a misura di sogni da tenere lontano dalla vista di chi avrebbe potuto contaminarsi. Vennero realizzate barriere elettroniche, che avrebbero gradualmente sostituito quelle di filo spinato, considerate obsolete e poco efficaci. Si istituirono frontiere mobili che, nel mare come sulle terra ferma, potessero inseguire, identificare, arrestare e detenere i possessori di sogni come pericolosi e sovversivi. Le armi divennero funzionali alle guerre contro chiunque osasse costituire associazioni di sognatori informali. I sistemi di informazione e di spionaggio, divennero pervasivi fino al punto di riorganizzare i sogni e dirottarli verso ambiti compatibili col potere. Si crearono milizie paramilitari, franchi tiratori, corpi speciali di intervento e ogni tentativo di sognare un mondo differente finì soffocato nella repressione più spietata. Persino i bambini, che facevano dei sogni i loro giochi, venivano addomesticati perché l'immaginazione fosse canalizzata su schermi televisivi. Anche i sentieri dove solevano passare i portatori di sogni erano stati cancellati e ogni traccia discordante punita con l'immediato ritorno alla loro terra di origine. Gli amori poi, per loro natura costruttori di sogni, venivano sedati con droghe leggere, terapeutiche e l'uso mirato di farmaci correttivi di ogni passione. Rimanevano gli aquiloni a tentare di volare nel vento, ma erano stati sostituiti in fretta da droni, molti dei quali armati.
Ci condannarono tutti in contumacia. Il reato era assimilabile a un delitto contro l'umanità o a un crimine di guerra. Operare direttamente o per omissione con lo scopo affermato di distruggere, estinguere e sradicare i sogni non conformi alla leggi vigenti fu riconosciuto come un orrendo misfatto. Ogni attenuante fu scartata dal tribunale speciale come priva di fondamento. Eravamo coscienti e informati, così riconobbero i giudici, di tutto quanto accadde nel Mediterraneo, in Libia, nel deserto e nei centri di detenzione. I testimoni del processo, convocati dai giudici, erano appunto i portatori di sogni, abitanti della città sommersa poco lontana. Fummo condannati a recitare i loro nomi per una breve eternità.
Niamey, luglio 2019
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