giovedì 21 giugno 2018
«Maradona è mejo 'e Pelè», sentenziano con sicumera a Napoli. «Pelè è il più grande di tutti», rispondono con altrettanta convinzione a Santos. «Friedenreich, è stato il migliore», dicono i vecchi della favela di Rio de Janeiro. Nessuno di loro ha visto giocare Arthur Friedenreich, il “figlio della colpa”, suo padre era un tedesco e la madre una lavandaia nera, ma in Brasile da un secolo in qua si tramanda la leggenda che sia lui il più grande marcatore della storia del calcio. E da oltre cinquant'anni va avanti la diatriba che lo vuole più prolifico, quanto a gol, di O Rei Pelè che in carriera ha messo a segno 1.279 gol, contro i 1.329 di Friedenreich. Tutte le reti di Pelè sono registrate, visibili su Youtube, mentre di quelle del bomber Arthur si hanno solo prove orali. Di lui sì sa che, da figlio di crucco, cominciò nel club Germania, nel 1909, e concluse la sua carriera dopo un quarto di secolo con il Flamengo. Qualche novantenne di Rio mi ha giurato di averlo visto giocare, lo dice con orgoglio perché «Arthur era un nero, come noi». E all'epoca non era cosa buona e giusta che un uomo di colore vestisse la casacca verdeoro della Seleçao. Spazzò via il pregiudizio solo quando segnò la rete della vittoria contro l'Uruguay, finale dei campionati sudamericani del 1919. Forse la più importante, delle presunte 50 in più di Pelè, la prima rete di Friedenreich, profeta del gol e dell'antirazzismo da ultimo stadio.
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