sabato 23 agosto 2014
Friarielli napoletani alla riscossa per fermare la tracotanza delle chips olandesi che tra patapà e patanè hanno invaso Napoli, e non solo, minando il dominio di paste cresciute, scagnuozzi, pizze fritte, zeppole di ciurilli, palle di riso, panzarotti, finora incontrastati padroni sui banchi delle friggitorie. A rivendicare il partenopeo orgoglio gastronomico è Cesare Cascella da Piscinola, quartiere nord di Napoli, architetto e ambientalista nonché biker instancabile che ha iniziato la traversata dell'Italia verso l'Olanda, pedalando, per portare nei fast food di Amsterdam il friariello napoletano. Prelibata specialità dei campi dalle umili origini, che solo nel Napoletano si trova e si sa cucinare, sconosciuta al resto del mondo anche se c'è un timido tentativo di proporla surgelata. Perché il friariello (Brassica oleracea italica) pur essendo una cima di rapa non è un broccolo: il contadino sa coglierlo, con le infiorescenze delle cime non troppo chiuse né troppo aperte, e l'ortolano mondare, e che cotto nell'olio bollente con aglio e peperoncino esala profumo e gusto unici trasformandosi in uno dei piatti più caratteristici della cucina napoletana. Il friariello, nome intraducibile, crasi tra frjere, friggere, e broccolillo, di genere maschile come da dittongo 'ie', tenta dunque di fermare il dispotismo delle patatine fritte olandesi a bordo di una bici, i semi chiusi in un sacchetto. Simbolico scambio dagli incerti risultati, comunque simpatica testimonianza "made in Napoli".
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