mercoledì 1 aprile 2020
L'unico cerchio della Divina Commedia ad avere un nome è l'ottavo. Quello, appunto, delle "Malebolge". Ha qualcosa di mediocre. Non suscita in Dante alcun moto di compassione per chi ha umanamente sbagliato (come nell'episodio di Paolo e Francesca, nel cerchio II) né genera il disgusto assoluto per chi, nel cerchio successivo, la Ghiaccia di Cocito (cerchio IX) s'approssima alla nefandezza assoluta del loro principe, Lucifero. Vi ci sono costretti ruffiani, lusingatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti, seminatori di discordie, falsari. Ossia chi vive tradendo chi non se l'aspetta. Parrà dunque evidente che, a XXI secolo avanzato, tale cerchio, rispetto ai tempi di Dante, è in crisi di sovraffollamento e che, già crepato a metà strada per il terremoto causato dalla morte di Cristo, sarebbe tutto un susseguirsi di pietre, di spuntoni addossati uno dopo l'altro. Cosa che è forse puntualmente accaduta. Nelle modernissime tribù di subumani benestanti e di umani sfruttati da secoli, il Verbo marcio del profitto impone la fraudolenza. La pubblicità è fraudolenza. Un agguerrito e sempre più accentratore libero mercato è fraudolenza. La competitività come valore principale è fraudolenza. L'allucinazione di Stato è fraudolenza.
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