mercoledì 6 dicembre 2017
"Abbiate il coraggio di insegnarci che è più facile costruire ponti che innalzare muri" ha detto papa Francesco nella veglia con i giovani arrivati da tutto il mondo a Cracovia nel 2016 per la Giornata Mondiale della Gioventù.
Più di trecento anni fa un altro gesuita insegnava già proprio questo, operando per la pace e per la dignità e fondando missioni negli stati di Sonora (Messico) e Arizona (Stati Uniti). Si tratta di Eusebio Francesco Chini, per tutti semplicemente padre Kino, la cui storia è ora raccontata nel docufilm di Lia Beltrami ¡Viva Kino! Attraverso Deserti senza frontiere tra Messico e Stati Uniti, che è stato presentato ieri in anteprima mondiale a Roma.
Il documentario (prodotto da Aurora Vision e con il Patrocinio della Santa Sede) ripercorre la vita e l'opera del gesuita considerato il padre fondatore dell'Arizona. Lo fa attraverso il personaggio di Maria, giovane istruttrice di Rodeo che va alla scoperta della devozione diffusa in tutto il Messico per padre Kino; con la lettura di stralci di lettere scritte dal gesuita; e con interviste a chi ancora oggi, attraverso le attività dei centri di accoglienza della Kino Border Initiative, porta avanti l'opera di quel missionario con i deportati e i clandestini ai piedi della barriera metallica che già divide Messico e Stati Uniti da oceano a oceano ma che qualcuno, in primis il presidente americano Donald Trump, vorrebbe rafforzare trasformandola in un ennesimo, vergognoso, muro.

"Esploratore, storico, rancher, missionario e Apostolo degli Indiani" è scritto sulla statua dedicata, nella National Hall of Statuary a Washington, a padre Eusebio Francesco Chini, nato nel 1645 a Segno (in Val di Non) ed entrato nella Compagnia di Gesù per diventare missionario in seguito a un voto fatto durante una grave malattia: "Padre Kino è l'ispirazione per i gesuiti che vengono qui. Il modo in cui si è rapportato con i Nativi quando è arrivato qui quasi trecento anni fa è stato rivoluzionario" dice padre Peter Neeley nel docufilm. Gesuita come lui e direttore della Kino Border Intiative, padre Samuel Lozano spiega: "Ci occupiamo di migranti in transito e deportati. Questi ultimi sono quelli che sono stati strappati agli Stati Uniti anche dopo avere vissuto lì quarant'anni, perché non sono riusciti a mettersi in regola con i documenti, e si trovano in situazioni difficili, maltrattati e privati dei diritti. Nella nostra mensa trovano sguardi di misericordia, di compassione, fraternità e speranza. Come gesuiti, la nostra è una spiritualità di frontiera, quindi questo luogo non è solo per il muro, per la frontiera fisica".

Padre Neeley aggiunge: "Qui tutto è centrato sull'Eucaristia. Al centro ci sono lo spezzare e il condividere il corpo e il sangue di Cristo con i fratelli e le sorelle che sono spezzati e divisi. Nella casa di Dio non c'è segregazione, tutti prendiamo parte alla stessa mensa".
Suor Cecilia Lopez Arias, una delle suore missionarie dell'Eucaristia che lavorano nella Kino Border Initiative, conferma: "Facciamo quello che la Chiesa ci chiede: accogliamo il pellegrino. Non si tratta di criminali ma di persone che cercano una vita migliore. Li sosteniamo, diamo alle donne un luogo sicuro e, quando serve, un aiuto a recuperare i figli perché alcune di loro vengono portate via dagli Stati Uniti senza i figli che, invece, rimangono lì".
Le riprese di ¡Viva Kino! Attraverso Deserti senza frontiere tra Messico e Stati Uniti sono state realizzate in tutti i luoghi originali in cui ha operato padre Kino, anche quelli in cui gli scontri tra le bande di narcotrafficanti hanno reso difficile il lavoro. Il docufilm andrà in onda prossimamente su Tv2000.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI