domenica 15 luglio 2012
Abbiamo festeggiato un matrimonio; all'anagrafe il mio legame con lo sposo non può dirsi stretto: mio nonno e suo bisnonno erano fratelli in una famiglia di sei figli. Ci sono linee di parentela che resistono al tempo, agli spostamenti, alle vicissitudini personali; una umana simpatia, un senso di comunanza, di vicinanza, difficili a definirsi ma evidenti anche in una somiglianza psico-fisica che attraversa le generazioni e riluce nei luoghi d'origine. Le mura delle case che non vengono vendute, abbandonate all'incuria, conservano spazi in cui questi legami sopravvivono e possono svilupparsi. Il tramandare sostiene una complessità che comunque ripaga al di là di ogni ragionevole certezza e anche di ogni ragionevole dubbio. Erano decenni che non vedevo un giovane parente, elegante ed emozionato, contornato da amici e familiari, incamminarsi con passo solenne verso la nostra chiesa. Ritualità divina e sociale, mensa eucaristica e menù nuziale. Poi un lungo pomeriggio estivo nel torpore di una digestione continuamente rimpinzata da un bicchiere, un dolce, stimolata da un caffé; rinvigorita dai canti tradizionali: strofe che trovano il basso, il controcanto, una polifonia di voci maschili e femminili che sommano piacere e sorpresa per come si è ancora capaci di bel canto e l'effetto che fa. Il campanile batte le ore; nelle ombre di un giardino, attorno i tavoli, tutto va per il giusto verso tra Albina, la prozia, la più vecchia – e quanto onore riverente c'è in questa parola che nessuno vuole usare per non sembrare scorretto e maleducato – ed Elia appena arrivato, che se non dorme sorride a tutti in una benevolenza beata appagata dalle braccia del padre e dalla vicinanza al seno materno. Secoli di storia familiare inquadrano ogni fotografia in scorci che solo una memoria vivente identifica. Due bimbi giocano a nascondino urlando e rincorrendosi, potrebbero essere cresciuti insieme nello stesso cortile ma è la prima volta che si incontrano. Tommaso ha 7 anni vive a Shanghai, impara il mandarino e va a scuola di italiano perché è l'inglese la lingua con cui sta imparando a decifrare il suo giovane mondo. Francesco ne ha 8, solo un mese in realtà li differenzia: uno è di dicembre l'altro è di gennaio. Francesco è ben piantato in Maremma con il padre la nonna materna gli zii; una famiglia in cui il dolore per la perdita della moglie, della figlia, della sorella è lentamente lenito e stemperato dalla sua presenza in rigogliosa crescita che incanta, come l'italiano che parla, fluido e toscaneggiante. Vederli insieme, confabulare uno fianco all'altro, è un tuffo del cuore nel tempo: ci sono i loro nonni che erano fratelli, ci sono generazioni su generazioni, ne conservano traccia indelebile negli occhi, nei capelli, nel portamento. «La vita è una gran cosa», diceva la Leò, nostra anziana parente e vicina di casa. La vita è delle famiglie, nelle famiglie, cellule basilari della società nella civiltà. Minarne le ragioni economiche, sociali, spirituali è minare la condizione umana. La cultura contemporanea, fattasi società dello spettacolo, lo sta facendo con abbondanza di mezzi in stillicidio quotidiano. La più clamorosa messa in atto di un'autodistruzione sociale: cronaca vera in tempo reale.
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