martedì 10 maggio 2016
«Cibo Agricolo Libero»: è il marchio dei quattro tipi di formaggio e della ricotta che da alcuni mesi si producono nel caseificio aperto nella sezione femminile del carcere romano di Rebibbia. Si lavorano 200 litri di latte biologico crudo, provenienti da una cooperativa di Poggio Mirteto in Sabina, per una produzione casearia di 20 chili il giorno. Adesso sono quattro le detenute che, dopo un corso di formazione, lavorano al progetto realizzato dalla onlus A Roma Insieme e da Vincenzo Mancino, nome importante della "gastronomia d'autore" laziale con il suo ristorante Proloco Dol di Centocelle, in collaborazione con la direzione di Rebibbia. Se la vendita dei formaggi crescerà, però, le donne assunte aumenteranno. Per loro lavorare significa formarsi per il dopo, quando sarà finito "il tempo delle sbarre", e sperimentare quella funzione rieducativa della pena che la Costituzione affida alla reclusione.I formaggi non hanno nomi propri ma si chiamano "numero 1", "numero 2"... È un modo per ricordare come tutto viene ribattezzato in carcere, dalle celle alle detenute. Precisa Mancino: «È importante il valore sociale dell'iniziativa, ma il consumatore deve acquistare i nostri prodotti prima di tutto per la loro alta qualità». Per ora sono venduti all'interno del carcere e serviti nei ristoranti con marchio Dol (Di origine laziale), ma a breve saranno venduti nel "mercato degli agricoltori" organizzato dalla Coldiretti al Tiburtino, vicino a Rebibbia. L'idea è anche quella di aprire uno spaccio del carcere accessibile anche dall'esterno.
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