sabato 15 aprile 2017

Dovrebbe essere destinata a cadere l'antica credenza popolare che i genovesi siano avari. Storicamente non è così e i fatti dimostrano come, almeno in passato, fossero munifici e solidali; spendevano tanto per onorare i morti, costruendo tombe adornate di lapidi costose e non esitavano a sborsare denaro per riscattare gli schiavi. A farlo erano soprattutto i più facoltosi, che disponevano di grandi possibilità economiche. Erano attenti alla cosa pubblica e stanziavano fondi per la loro città e le per opere di beneficenza. Su tutte riscattare i marinai prigionieri, catturati sulle galee. Un'inoppugnabile dimostrazione viene da epigrafi e lapidi ritornate a Palazzo Ducale dopo una notevole opera di restauro.


«Testimonianze databili tra il 1295 e il 1778. Pezzi importanti di storia genovese che ora tornano davvero alla piazza venendo ricollocate a Palazzo Ducale», ha informato Adelmo Taddei, conservatore del Museo Sant'Agostino, che è riuscito nell'opera di recupero con il sostegno della Fondazione di Palazzo Ducale, grande incubatore di cultura sotto la Lanterna e promotrice di eventi librari e museali quotidiani, nel dopoguerra sede della Procura della Repubblica e nel 2001 del G8. Le lapidi che si possono osservare nel grande palazzo narrano stanziamenti di denaro dei plutocrati della città: grandi somme per restaurare opere del Porto e liberare dalla schiavitù i prigionieri. Di particolare interesse e curiosità l'iscrizione su una lapide di un cittadino che donò 200 lire, cifra rilevantissima nel 1718, per riscattare dei prigionieri.

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