mercoledì 26 settembre 2012
Gino Ruozzi, che insegna letteratura italiana nell'Università di Bologna, è un profondo conoscitore di Ennio Flaiano (1910-1972), al quale ha riservato le pagine 1041-1090 del secondo dei due volumi di Scrittori italiani di aforismi, da lui curati per i Meridiani Mondadori (1994-96). Ebbene, Gino Ruozzi pubblica adesso Ennio Flaiano, una verità personale (Carocci, pp. 304, euro 25), quasi per rimuovere l'etichetta di "scrittore di aforismi" che a Flaiano è stata appiccicata in vita e ne deforma la fama postuma. Folgoranti battute di Flaiano sono diventate proverbiali («Oggi il cretino è pieno di idee»; «L'italiano è una lingua parlata dai doppiatori»; "«I giovani hanno quasi tutti il coraggio delle opinioni altrui»), altre (scipite o rabberciate) gli vengono erroneamente attribuite, ma Flaiano non è tutto lì. Anzi, si arrabbiò quando il venerato Prezzolini lo definì, credendo di fargli piacere, «uno degli scrittori più spiritosi d'Italia». Certo, Flaiano era "spiritoso", ma il suo era lo spirito amaro del moralista che vede le debolezze proprie e altrui, e scuote la testa perché, più che emettere un giudizio, gli sta a cuore conoscere e descrivere la realtà tutta intera. Ruozzi non ha scritto una biografia di Flaiano, bensì un ampio e documentatissimo saggio critico che esplora i settori a cui lo scrittore pescarese si è applicato: dal primo e unico romanzo Tempo di uccidere (vincitore del neonato Premio Strega, 1947), al teatro, al cinema, alla cronaca giornalistica. Quanto agli aforismi, giustamente Ruozzi spiega, a proposito del Diario degli errori, che l'opera di Flaiano «non è propriamente un'opera di aforismi, anche se ne presenta parecchi. Appartiene alla natura del libro di frammenti: fogli staccati, pezzi di diario e di quaderno; un ampio e libero contenitore di scritture diverse, non soggette alla rigidità del genere». Flaiano è ampiamente noto come co-soggettista e co-sceneggiatore dei migliori film di Fellini: otto film, da Lo sceicco bianco (1952) a Giulietta degli spiriti (1965), con in mezzo La dolce vita (1960) e 8½ (1963).La collaborazione si interruppe dopo un articolo di Sergio Saviane sull'"Espresso" (24 maggio 1964) che sottolineava l'apporto fondamentale di Flaiano ai film di Fellini: il regista la prese male e solo parecchi anni dopo l'amicizia fu rinsaldata. Senza Flaiano, comunque, iniziò la decadenza involutiva di Fellini. La leggenda vuole che Flaiano si fosse adontato perché, per un viaggio aereo in America, la produzione aveva riservato la prima classe a Fellini e la turistica a Flaiano: Ruozzi non la riporta, ma in nota trascrive che Tullio Kezich definiva Flaiano «uomo di straordinario talento, ma caratteriale e permaloso». Flaiano è titolare del più clamoroso (e ingiusto) fiasco teatrale con Un marziano a Roma, interpretato coraggiosamente da Vittorio Gassman. Ruozzi sottolinea correttamente le implicazioni cristologiche del Marziano, così come dà rilievo alla sceneggiatura che Flaiano, un anno prima di morire, scrisse per L'Uomo di Nazaret, un film di Zeffirelli, che non fu mai girato e che con il Marziano presenta analogie. Del resto, Flaiano aveva apprezzato l'«ardua e filiforme storia di Maria Goretti», raccontata cinematograficamente da Augusto Genina (Cielo sulla palude, 1949). Insomma, Ruozzi ha scritto un bellissimo libro per la gioia di noi fanatici di Flaiano, utile anche, per chi non lo conoscesse (i giovani, i giovani!) come introduzione al mondo del più implacabile osservatore del costume italiano del dopoguerra, che ha messo a dimora i semi del malcostume attuale. L'accurata cronologia si conclude con una specie di refuso: Flaiano «muore il 20 novembre 1972 e viene sepolto, insieme alla figlia Luisa e alla moglie Rosetta, nel cimitero di Maccarese vicino a Fregene». Sembra una triplice sepoltura in contemporanea, ma Luisa raggiungerà il padre nella tomba vent'anni dopo (1992), e Rosetta, dopo altri undici anni, nel 2003.
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