domenica 15 febbraio 2015
Sembra, ormai, che la natalità artificiale proceda in due direzioni temporali: una rivolta al passato, l'altra al futuro. La prima, che ha riempito i giornali di questa settimana, è testimoniata dalla vicenda della vedova bolognese cui il tribunale ha riconosciuto il “diritto” di avere un figlio dal seme di suo marito depositato diciannove anni fa (quando non erano ancora sposati). Questa filiazione ha indotto un filosofo italiano assai noto, Remo Bodei, docente a Los Angeles, a dichiarare che «se tecnicamente è possibile farlo, allora non è contrario alla natura», dove si vede che non sempre la filosofia è amore della saggezza e che ai tribunali può capitare di sentenziare al vento delle mode esistenziali. La seconda direzione temporale è quella dei «figli venuti dal futuro» (Panorama del 18 febbraio) che avranno il Dna di tre genitori (per ora due madri) oppure saranno il frutto di una autofecondazione (entrambi i gameti prodotti con la manipolazione delle cellule della pelle della medesima persona). Sennonché passato e futuro potrebbero anche dimostrarsi sterili e bisogna augurarsi che sia così: che cosa potrebbe succedere ai bambini assemblati con questi criteri assurdi e necrofili, come ha scritto il filosofo del diritto Francesco D'Agostino? Per prevenire la presunzione degli uomini, Madre Natura ha provveduto a che ogni nuovo nato sia arricchito dei patrimoni genetici di persone diverse di diverso sesso (la coppia omosessuale è sterile). Sarebbe bene che certi apprendisti stregoni della riproduzione artificiale si mettessero d'accordo: i bambini "autoconcepiti" o simili non riuscirebbero bene.DONATORI DI ABBANDONOUna terza direzione temporale della riproduzione artificiale, quella ormai ufficialmente chiamata eterologa e sperimentata, suscita invece alcuni interrogativi che finora non sono stati presi in considerazione. Il primo è l'iniziativa personale dei “franchi donatori”, cioè quelli che forniscono seme senza passare per le agenzie autorizzate e quindi senza alcuna garanzia di sanità. Il Foglio, per esempio, ha pubblicato (lunedì 9) le «Memorie di un donatore» padovano che da quattro anni fa i suoi doni «a persone conosciute on line». Lo stile delle sue consegne comprende l'uso del «barattolino per le analisi delle urine sotto casa di mia zia in Abruzzo, sotto il sole d'agosto». Il nostro personaggio ha già otto figli: «cinque maschietti e tre femminucce», che ovviamente, come fanno tutti i donatori (negli Usa pare che ce ne sia uno che ha 500 figli), egli ha tranquillamente abbandonato. Però non c'è nessun Pm che apra un fascicolo per abbandono d'incapace secondo l'articolo 591 del Codice Penale, che punisce l'abbandono di “una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura”: reclusione da 6 mesi a 5 anni. Condanna aggravata se l'abbandono è perpetrato “dal genitore”. Al contrario c'è una Corte Costituzionale che legalizza questo tipo di abbandono.IL DIRITTO ALLA PAURAUn giornalista un po' pignolo ha passato in rassegna (Il Giornale domenica 8) due milioni e mezzo di annunci funebri scoprendo che soltanto in 472 (= 0,006%) è citata la morte. Il defunto non è mai morto, ma «ci manca, si spegne, è scomparso, ci ha lasciato, è volato in cielo…» eccetera. Tempo fa sul Corriere della sera uno era finito «su una nuvoletta». È una delle contraddizioni del nostro tempo: si reclama il “diritto civile” di morire, ma si ha paura della parola “morte”. Se si avesse il coraggio di scriverla, forse si muterebbe parere su questo diritto così poco civile.
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