sabato 27 novembre 2004
La più facile arte è quella di far danari" e l'aurea mediocrità degli uomini ha a questo una meravigliosa attitudine. A fare questa considerazione non è un moralista o uno psicologo ma un celebre critico letterario ottocentesco, Francesco De Sanctis, in un suo saggio sull'epistolario di Leopardi. Contrariamente a quanto si crede, egli afferma che far soldi non richiede particolare genialità ma quell'«aurea mediocrità» che non si pone tanti problemi e che procede senza imbarazzi accumulando denaro su denaro, ricchezze su ricchezze, ville su ville e così via. E' curioso notare che, tempo fa, leggendo testi diversissimi tra loro, ho scoperto la stessa idea riguardo al guadagno crescente. Da un lato c'era Giovanni Della Casa (siamo nel '500) che al nipote scriveva: «Si fa maggior fatica a guadagnare il primo migliaio che poi, col primo migliaio, il decimo e il vigesimo». D'altro lato nel '700 Jean-Jacques Rousseau confessava: «Il denaro è seme di denaro e la prima lira è qualche volta più difficile da acquistare che il secondo milione». Bisogna, perciò, spazzar via l'idea che il ricco sia anche abile, intelligente, significativo, capace di fare altre cose più importanti rispetto al puro e semplice far soldi. Il denaro spesso è come le ciliegie, l'una tira l'altra in un crescendo che, però, non è infinito e non cancella la fragilità delle cose terrene. Quando anni fa visitai gli scavi di Pompei una guida diceva che su una casa sepolta dalla lava c'era la scritta: «Il guadagno è la felicità». Sappiamo che questa non è una verità definitiva, ma ci premuriamo di celarla sotto l'illusione e cerchiamo di credervi.
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