Faceva bene leggere Armagheddo e respirarne la libertà interiore
venerdì 22 dicembre 2017
Armagheddo ( tinyurl.com/yb5tldj5 ), il blog sul quale padre Piero Gheddo ha scritto fino a pochi giorni prima di morire, è stato tra i primi siti in assoluto di cui ho parlato in questa rubrica. Nel novembre del 2014 il noto missionario giornalista ritornava alla tastiera dopo un mese di interruzione per infortunio, e mi parve che la community ecclesiale digitale non potesse astenersi dal fargli, virtualmente, una visita. La stessa community, nelle scorse ore, avrà giustamente reso onore alla sua memoria, in particolare leggendo cosa hanno scritto di lui le testate di cui era stato in vario modo padre, come “Mondo e Missione” e “AsiaNews”, e i colleghi – sui siti di “Famiglia Cristiana”, “Avvenire” e “Vatican Insider” – di cui era stato in vario modo maestro: Gerolamo Fazzini, Roberto Beretta, Giorgio Bernardelli.
Sul web era arrivato, come blogger, nel settembre 2008, alle soglie degli ottant'anni. Una migrazione digitale, insieme alla rubrica che teneva da cinque anni su “Mondo e Missione”, che naturalmente visse con la flessibilità tipica dei missionari e dei giornalisti migliori. «Inizia anche per me una nuova avventura – scriveva il 18 settembre – che affronto con lo spirito di sempre, giovanile e pieno di speranza, non nelle mie forze, ma fiducioso nell'aiuto di Dio. Debbo imparare un nuovo tipo di giornalismo, un nuovo linguaggio per trasmettere l'ideale missionario, al quale ho consacrato tutta la mia vita. (…) È una novità positiva, anche se ancora tutta da inventare». In questi nove anni il blog di padre Gheddo è stato fedele al proposito iniziale: «Commenterò i fatti del giorno ricordando anche le mie avventure missionarie o quelle che ho conosciuto e giudicando gli avvenimenti, spero, alla luce del Vangelo». Lo si leggeva volentieri: sia che riflettesse sull'attualità, sia che attingesse all'inesauribile giacimento dei suoi viaggi «ai confini della fede», nelle sue pagine web spirava l'aria di una grande libertà interiore, che avrà ristorato anche chi non lo conosceva “sulla carta”.
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