martedì 4 maggio 2021
Sotto i mari d'Europa si torna a scavare. Non in cerca di petrolio o gas, ma per collegare meglio tra loro i Paesi dell'Unione. Proprio mentre sembrano farsi più labili i legami politici – vuoi per pulsioni nazionaliste innescate dalla pandemia vuoi per alcune derive autoritarie interne che minacciano la coesione sui valori – si annunciano nuove iniziative interstatali nel campo delle infrastrutture. Si varano progetti audaci, come i grandi tunnel sottomarini, destinati a ridurre le distanze fra aree altrimenti difficili da congiungere.
La più recente e ambiziosa impresa del genere riguarda la cosiddetta "super-Tav del Baltico", ossia il collegamento ferroviario ad alta velocità che in mezz'ora unirà la capitale dell'Estonia a quella della Finlandia. Nei giorni scorsi, dopo cinque anni di studi e dibattiti, è arrivato il via libera all'opera da completare entro il 2024, ribattezzata anche "Talsinki", dalla fusione di Tallin ed Helsinki. Con la sua doppia galleria d 103 chilometri, profonda fino a 200 metri sotto il suolo marino, demolirà il record mondiale di lunghezza, finora appannaggio della Seikan Gallery giapponese (53,8 chilometri), insieme al primato del tratto interamente sottomarino detenuto dal tunnel sotto la Manica (quasi 38 chilometri).
Realizzazioni del genere sono di per sé stesse in grado di imprimere forti scosse positive alle comunità coinvolte, a cominciare dalle loro economie. Si prevede ad esempio che il collegamento sotto il Golfo di Finlandia farà incrementare di cinque punti il Pil dell'area interessata, garantendo un netto miglioramento per tutti i movimenti turistici e commerciali nel Nord-Est europeo.
Impatto forse minore dal punto di vista spettacolare, ma non meno importante sul piano economico, potrà avere il tunnel destinato a unire il Land più settentrionale della Germania – lo Schleswig-Holstein – con la provincia danese di Lolland, consentendo di arrivare in auto o in treno da Amburgo a Copenhagen in due ore e mezzo (i lavori sono iniziati a gennaio e finiranno entro il 2029). In questo caso non si perforerà il suolo sottomarino, ma si costruiranno 18 chilometri di gallerie di cemento da depositare sui fondali, al cui interno correranno due binari ferroviari e un'autostrada a quattro corsie.
È evidente il valore anche simbolico di iniziative come queste, aldilà degli stessi vantaggi pratici per le popolazioni coinvolte. Non a caso lo scorso anno il governo danese, dopo l'esito positivo della lunga trattativa tra le forze politiche locali durata quasi un decennio, ha parlato di "una decisione storica" e ha definito il tunnel "una nuova porta d'ingresso per l'Europa".
L'espressione può apparire enfatica, se si pensa che i due Paesi confinanti vantano da decenni, ancor più sotto l'egida dell'Unione a 27, legami solidi e una collaudata integrazione. Anche il taglio ai tempi di attraversamento dello stretto di Fehmarn (ridotti all'incirca a 10 minuti, a fronte dei 60 richiesti dagli attuali traghetti) può non sembrare poi così decisiva. Ma a pesare ci sono anche altri fattori, non ultimo quello psicologico. Basterebbe provare a ricordare cosa hanno provato e testimoniato le squadre di operai coinvolti nella costruzione di tunnel ferroviari di confine, come quello del Monte Bianco, al momento in cui cadeva l'ultimo diaframma di roccia e scattava la corsa agli abbracci e alle reciproche pacche sulle spalle.
Sono insomma imprese che non si esauriscono nella realizzazione di un progetto audace e innovativo, ma che lanciano segnali di una volontà di collaborare e di ridurre le distanze fra i popoli. Proprio uno degli obiettivi che stanno fin dalle origini alla base della costruzione europea e che, in tempi di egoismi rinascenti, meritano di essere riscoperti e valorizzati.
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