domenica 26 agosto 2018
Era una gran bella famigliola, quella dei Susa. Con tanti piccoli giocherelloni, di ogni età. Gli occhi scuri e curiosi, gonfi di domande. Si assiepavano in tondo alle mie gambe, come grappoli d'uva. Senza fare chiasso, con le dita pizzicavano i miei vestiti per capirne la sostanza. E dal basso verso l'alto mi guardavano come per chiedermi: «E tu chi sei?».
Restavano come ipnotizzati, con le teste reclinate sulle spalle, davanti alla inaspettata sorpresa caduta da chissà quale... albero. Cioè, il sottoscritto. Poi, così come erano comparsi, filavano via. Buttandosi nel folto della boscaglia verde smeraldo, per tornare a giocare o a litigare, senza cattiveria né violenza. Si azzuffavano in una lotta pacifica di fratelli, per contendersi una manciata di succulente foglie di ortica gigante.
Gli adulti stavano in disparte, nelle loro goffe pose, pesanti e pigre, a smangiucchiare qualcosa. Un po' a sonnecchiare e un po' a spulciarsi il folto manto lanoso nero e denso. Con lena calma e contemplativa, ma sempre restando vigili e guardinghi. Come fanno tutti i genitori, del resto. E ancora di più se appartengono all'ultimo nucleo dei gorilla di montagna, i "silverback", schiena argentata, che popolano quel triangolo di foreste dell'Africa equatoriale accoccolato tra Uganda, Repubblica democratica del Congo e Ruanda.
La famiglia dei Susa, nome preso dal fiume dove il gruppo di gorilla si è insediato, vive nel "Parco nazionale dei Vulcani", in Ruanda. Oggi, si contano poco più di mille di questi primati. Costantemente alla mercé di bracconieri, bande armate criminali e milizie tribali prede sia per la carne sia come immondi trofei: teste imbalsamate e mani mozzate per farne posacenere.
Il grande capobranco Mu-Gome, una quarantina d'anni, 160 chili, e suo fratello Kurira, 26 anni, 180 chili di massa muscolare, avevano "conosciuto" Dian Fossey. La zoologa statunitense, infatti, aveva trascorso gran parte della sua vita studiando la famiglia Susa, fino al giorno della sua tragica e misteriosa morte, avvenuta nel 1985. Giti, 5 mesi, era l'ultima arrivata di una famigliona di 29 individui arroccati a 2.800 metri di altitudine, in una foresta impenetrabile. Quel giorno, più mi inoltravo in quella selvaggia libertà e più avevo la netta sensazione di sentirmi un invasore alieno che violava un mondo che per difendersi e sopravvivere deve stare nascosto. Guardando nei piccoli occhi acquosi di quegli enormi esemplari di primati vedevo la tristezza di chi non può difendersi dal predatore uomo.
Per proteggere queste magnifiche creature dal pericolo estinzione, c'è anche, però, chi muore senza medaglie. Sono i rangers, uomini e donne, che armati di fucili scortano i visitatori. Negli ultimi dieci mesi, nel più famoso e conosciuto "Parco del Virunga", in Repubblica democratica del Congo – che proprio per la sua insicurezza è stato chiuso ai visitatori, per tutto il
2019 –, 12 rangers sono stati uccisi in scontri a fuoco con milizie e bracconieri. Ma nei 20 anni di vita di questo parco, più di 180 sono state le guardie forestali cadute durate il loro lavoro di conservazione di questo angolo di Pianeta che compone il grande libro della vita.
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