Enzensberger, storia di un barone troppo «pigro» per farsi contagiare...
sabato 24 gennaio 2009
«Tutti, anche gli scrittori, devono fare il proprio lavoro nel miglior modo possibile». Con questa frase stranamente ovvia, ma certo allusiva, lo scrittore tedesco Hans Magnus Enzensberger chiude il suo libro Hammerstein o dell'ostinazione (Einaudi, pagine 279, euro 20). Nel postscriptum l'autore spiega «Perché questo libro non è un romanzo». Infatti non lo è. È un montaggio di documenti, ogni lettore lo capisce. Ma lo scrittore deve fare bene il suo lavoro per mostrare come usa i documenti che usa.
La storia del barone Kurt von Hammerstein, un intelligentissimo generale che nel 1930 divenne comandante in capo dell'esercito tedesco e si dimise quando Hitler conquistò il potere, è una storia costruita su una fitta serie di registrazioni, resoconti, testimonianze e glosse storiche. Enzensberger cerca di appurare una serie di fatti e se aggiunge qualcosa si tratta di ipotesi e congetture, utili a colmare le lacune che ogni vicenda documentata presenta. Il barone von Hammerstein fu ostinatamente incapace di farsi contagiare da Hitler. Ma perché un uomo di destra come lui restò lucido e sprezzante, si isolò e si dimise dalla più alta carica militare quando il nazismo trionfava? La risposta è che fu passivamente, contraddittoriamente non-nazista e anche (dentro di sé) antinazista perché era un vero aristocratico, un vero talento militare e un uomo laconico che lasciava liberi i suoi molti figli di avere amici ebrei e perfino di diventare clandestinamente comunisti. Hammerstein restò un ostinato «conservatore», non diventò un «rivoluzionario» di destra. Gli bastò ascoltare nel febbraio del 1933, nel corso di una cena, Hitler che esponeva i suoi progetti paranoici al fior fiore della casta militare: da quel momento Hammerstein, come militare e uomo pubblico, sembrò sempre più «pigro». Anche la pigrizia è una forma di resistenza. Nelle peggiori situazioni, anche la semplice mancanza di zelo può essere un sintomo di onestà.
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