domenica 2 settembre 2012
Gli interrogativi dei giornali di mercoledì 29 sulla sentenza di Strasburgo sulla Legge 40 non sono nuovi né – ma solo per questo – allarmanti. Preoccupa, invece, che a porli siano persone quasi tutte assai qualificate: si vedrà alla fine perché. Su La Stampa, Vladimiro Zagrebelsky, già giudice della Corte europea, afferma: questa è «una legge incompatibile con i diritti», in particolare «quello della donna alla salute»: qui, però, si tratta della salute del figlio; e Umberto Veronesi parla di una «rivincita del progresso sull'ideologia» mentre su La Repubblica il giurista Stefano Rodotà proclama che siamo «liberi dalle ideologie»: davvero eliminare milioni di embrioni è progresso mentre rivendicarne il diritto alla vita è «ideologia»? Ancora su La Stampa Ignazio Marino è soddisfatto perché «una norma antiscientifica sarà cestinata»: ma è scienza quella che uccide? Sul Messaggero, Claudia Mancina (insegna Etica dei diritti alla Sapienza) dice «Sì al diritto di desiderare un figlio sano»: da quando i desideri diventano diritti? Sul Manifesto anche l'associazione radicale "Luca Coscioni" mette «al primo posto il diritto alla salute» e su Il Giornale proclama: «Il feto ha il diritto di nascere sano, la scienza glielo permette»: e se è malato glielo vieta? O non ha diritti solo perché è piccolo? Su 24 Ore, Cinzia Caporale, biologa alla Sapienza: «Evitare una morale unilaterale»; la morale embrionicida che cos'è: multilaterale? Per l'Unità la sentenza di Strasburgo è «uno schiaffo alla Legge 40»: o una spada di Damocle sugli embrioni? E non cito il paginone blasfemo del Manifesto per rispetto dei lettori. Insomma, è ormai evidente che l'antilingua (p. es.: i delitti diventati diritti, l'embrione privato della personalità e soggettività di figlio, la tecnica che sostituisce la vera scienza, l'autodeterminazione che nega la responsabilità verso gli altri ecc.) è riuscita a sovvertire cultura ed etica a tutti i livelli della società.I LOGICI ILLOGICISecondo il filosofo Umberto Galimberti, Dio è soltanto (Il Venerdì di Repubblica, 31 agosto) il frutto della nostra «abitudine mentale» al «principio di causalità», quello che ci fa «cercare la causa» di ogni cosa che c'è al mondo. «Non confondiamo la realtà con il nostro mondo», afferma. Dunque in Dio si crederebbe soltanto come «causa». Logica vorrebbe, però, sostiene Galimberti, che allora dovremmo anche cercare la causa di Dio, «chiedendoci chi l'ha creato». Con il che, però, Galimberti mostra la debolezza di questa logica. Egli trascura, infatti, che Dio – anche soltanto concettualmente – non è una cosa del mondo (in questo senso nemmeno una «realtà») né soltanto una causa né, infine, che sia stato creato da un altro creatore. Altrimenti dovremmo andare con infinite cause all'indietro, avvicinandoci assai, in tal modo (anche se questa non è certamente una dimostrazione della sua esistenza), all'infinità e all'esistenza di Dio. Anche il matematico Piergiorgio Odifreddi (Repubblica, martedì 28) se la prende con Dio: sostiene che «chi viene forgiato con la logica ferrea» della matematica «rimarrà sordo alle sirene della metafisica teologica». Vale forse per lui, non per chi sa che anche la matematica è una creatura di Dio.
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