sabato 20 settembre 2014
Venti settembre. Non riesco a lasciare questi boschi, né i prati d'autunno che un sole radente colora a strisce di luce. Sull'orizzonte il filo delle montagne chiude al di là il mondo e da l'illusione di vivere in pace. Ho promesso all'antica quercia di non lasciarla sola quando l'abbatteranno. Oggi è il giorno e sento già il suo spirito antico lamentarsi piano all'arrivo degli uomini con i moderni attrezzi che si preparano al primo taglio. La sua pelle di corteccia è scura e a tratti coperta di muschio che anno per anno le ha tolto il respiro. Le lunghe braccia cercano ancora il cielo in un'inutile speranza di vita. Duecento anni di storia ha vissuto ed ora mi sembra di sentire la sua voce gridare al primo incidere della lama che a fatica entra nel suo vecchio corpo: «Ahi, che dolore, chi è che mi fa male? Lo so che da qualche tempo getto solo un piccolo ciuffo di foglie e non posso fare di più. Non vedete che il mio legno è ancora roseo, ancora vivo, non tagliarmi i rami alti, sono le mie braccia per vedere il cielo, abbiate pietà. Ma i denti della sega veloci li fanno cadere uno ad uno con un tonfo su quel tratto di prato che avevano difeso con la mia ombra dal sole d'estate, dai temporali, dalla neve d'inverno. Lo tenevano pulito per i caprioli che vi cercavano rifugio nei giorni di freddo. Non vedrò più la neve... oddio, gli uomini! Li avevo visti cercare rifugio nei boschi durante la prima guerra mondiale quando ero ancora possente e forte mentre i cannoni dei due eserciti uno di fronte all'altro, quello austriaco e quello italiano, cercavano la morte. Li ho guardati ancora, gli uomini, quando fuggivano davanti alle torture delle Ss della seconda guerra. Fiorivo di foglie verdi allora e di lucide ghiande quando il sole d'autunno mi colorava di giallo e di rosso in un'ultima festa prima dell'inverno». Ora i denti d'acciaio hanno fatto cadere il tronco pesante e muto, ma sento ancora un filo di voce che mi chiama: «Perché mi hai abbandonato così, non ricordi più quando ti dondolavi sull'altalena ed io tenevo salde le corde sui miei rami perché tu non cadessi? Ti lasciavo fare ghirlande con le mie foglie rosse e tu ridevi, felice. Ma ora addio, metti un'altra piccola quercia al mio posto, sarà il nostro comune saluto a questo angolo di mondo verde e lucente. Ci metterà molti anni a crescere. Né io né te vedremo la sua ombra, saremo tutti e due in un altro spazio senza confini, dove il tempo non porta la morte, ma la vita».
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