lunedì 22 marzo 2004
A volte una requisitoria si trasforma in confessione. Su Liberazione, una «femminista» tanto «atea e materialista» da aver avuto un figlio «non fuori, ma contro il matrimonio», spiega perché non ha votato l"odg della Direzione di Rifondazione comunista contro la legge di fecondazione artificiale, sulla cui sostanza, però, ovviamente concorda. L"odg, rivendicando «l"autonomia della scienza e della ricerca», aiuta questa legge a mettere «una cappa neoliberista e tecnocratica sulla [...] progressiva artificializzazione della vita». In più, «un diritto alla procreazione tecnologicamente assistita praticamente illimitato [...] è decisamente liberista», perché «la libertà diventa hybris, prepotenza, volontà di onnipotenza» se non è «accompagnata dal "principio di responsabilità" [...] da un senso forte del limite [...] dal principio di precauzione». Esempio: «Se la donna non fertile vuole avere a tutti i costi [...] un bambino tutto suo [...] questo desiderio mi sembra un po" eugenetico, quasi nazista». E «se decide di avere un figlio "a utero in affitto", impiantando il suo embrione in quello di una co. co. co. delle nascite [...] qui si configura [...] un diritto dell"essere nato di conoscere l"identità paterna». Giudizio analogo «se la donna, Signora assoluta della Vita e della Morte, decide di avere un figlio "a babbo morto"». E la tutela del concepito? «Se il feto non è persona, non è nemmeno plastica». È già qualcosa.Conclusione: urge «mettere in campo [...] una nuova umiltà, una sensibilità meno onnipotente, meno "uomo o donna di marmo", meno violenta, cioè».
I BIDONI DELLA PAURA«Ventiquattromila embrioni ciechi ricercati nelle cliniche e negli ospe-dali di tutta Italia, contati dalla Finanza, caricati su furgoni speciali, portati via con la scorta, blindati in celle sterili, sistemati su scaffali in contenitori numerati, chiusi in fondo a un"unica grande cripta di ghiaccio, inaccessibile, lontana da tutto». Su Repubblica, il mese scorso, appariva (14.2) una narrazione del «viaggio delle "vite possibili" verso un unico frigorifero di Stato», quello istituendo a Milano per gli embrioni «extranumerari». Anche questa voleva essere una requisitoria contro «l"irruzione dello Stato nella vita biologica dell"individuo» ed era un"efficace  descrizione della barba-rie della crioconservazione. In quel «campo di concentramento degli embrioni d"Italia» c"è «lo stesso freddo, la stessa tecnologia, la stessa sorveglianza burocratica dei centri periferici di fecondazione assistita [,...] Non c"è nulla di poetico e di teneramente pre-natale in quei bidoncini [...] pieni di azoto liquido a 180 gradi sotto zero». C"è, invece «una paura nuova, che fa corto circuito con un"altra: il controllo del gene umano, la duplicazione della vita, i posteri-replicanti...».
CHI HA IL DIRITTO«Chi ha il diritto di decidere sul mio corpo di donna?» Franca Long pone, sul mensile Confronti (num. 3), un interrogativo, in linea con i testi precedenti. Infatti, chi è il vero og-getto di quella legge? Il corpo della donna o il figlio, da trattare come persona e non come solo corpo? Perché, se da millenni si legifera sulla nascita naturale dei figli (acco-glienza, abbandono, nome, registra-zione ecc.), non si può legiferare adeguatamente su quella artificiale?
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: