martedì 28 aprile 2020
Chi si prendesse la briga di prendere una Bibbia e leggere, o rileggere, il libro di Isaia (ma direi il piacere, visto la potenza linguistica di quelle pagine) come si farebbe con qualsiasi altro libro e quindi senza l'oppressione del "sacro", si troverebbe di fronte a un'apparente, assoluta ambiguità, se non doppiezza, del messaggio di Isaia. Panorami foschissimi si addensano sul futuro, scenari apocalittici di distruzione poi, all'improvviso, capovolti in visioni di pace, di acquisita serenità se non di trionfo. Un grosso errore sarebbe leggere queste sequenze come successioni temporali. Nel linguaggio lapidario e possente della Bibbia, Isaia ci mette di fronte a ciò che potrebbe avvenire, e lo fa rivolgendosi al suo popolo che, pure, non vuole ascoltarlo perché spaventato dalla prospettiva negativa. Ma la prospettiva negativa non è solo una delle possibilità, ma dipende da noi, allora come adesso. Il profeta diventa quindi colui che si assume la responsabilità di dirci cosa può accadere a seconda delle nostre scelte. In quell'aggettivo, nostre, sta la chiave dell'"Effetto Isaia". Perché non sono i fatti esterni a determinare quello che accadrà, ma quello che adesso vogliamo che sia. Nella potenza della preghiera lo slancio verso il futuro, quello che costruiremo per noi e per i nostri figli.
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