domenica 22 giugno 2008
Parole, parole, parole. Non vedo l'ora che l'Italia scenda in campo e risolva a modo suo il problema Spagna. Mi confortano l'allegria di Cassano,

la dialettica potente di Gattuso a riposo forzato per squalifica, il silenzio di Donadoni. La trappola delle parole è pericolosissima e questa sorta di silenzio stampa del ct - che comunque dirà la sua al momento giusto - mi sembra beneaugurante; come quella rinuncia a rivelare la formazione «vera», alla maniera degli antichi maestri della pretattica.
Gli spagnoli sono forti e aspirano a confortare con un risultato storico l'appellativo di Furie Rosse che gli fu dato nel 1964, quando vinsero l'Europeo per la Patria e per il Caudillo. L'altra sera ho ritrovato il Grande Calcio che piace a me - quello della sofferenza - assistendo incredulo e entusiasta ai secondi finali dell'extra-time
di Croazia-Turchia. Ho sentito e letto che per molti si è trattato di calcio minore, poco brillante dal punto di vista tecnico: io tifo per questo povero calcio realizzato da operai specializzati e registro disincantato l'uscita di scena di Ronaldo e del suo Portogallo.
Per il bel Cristiano il Real Madrid offre cento euromilioni, anche se gli manca la consacrazione internazionale: arrivare alla finale dell'Europeo è molto più difficile che conquistare la Champions ai danni del Chelsea di Anelka. Ed è per questo che invito gli azzurri a vedersela con i raffinati pedatori iberici

(Villa e Torres son davvero belli e potenti) ricordando la lezione di Terim e dei suoi operai turchi ai più validi avversari croati, per i quali s'era mosso incuriosito e preoccupato, dopo tre vittorie tre, anche Fabio Capello, visto che dovrà affrontarli con la sua Inghilterra per le qualificazioni mondiali. Gli italiani si sono entusiasmati: oltre nove milioni di telespettatori hanno seguito le emozionantissime battute finali che hanno decretato il giustissimo successo della Turchia. I cosiddetti tecnici han fatto spallucce e hanno parlato di fortuna: anche nello storico 4-3 di Italia-Germania del '70 all'Azteca mise becco la fortuna ma la vittoria fu degli uomini,
della loro passione e abnegazione sorrette da una sostanza fisica che non li ha mai abbandonati.
Come gli uomini di Terim, che dopo cento minuti correvano, sgomitavano, saltavano, scalciavano e tiravano con energia triplicata rispetto al pallido avvio, quando erano certamente spaventati dalla sicura superiorità tecnica dei croati. Ecco come vorrei che fossero, stasera, gli Azzurri. E che in Spagna, domani mattina, i giornali scrivessero in una foresta di esclamativi dritti e rovesciati "mamma gli italiani", così come venerdì dappertutto si gridava "mammaliturchi". Banale, vero? Be', dovete sapere che l'Imperatore Terim e le sue... "truppe" aspettavano da trecentoventicinque anni - e lo hanno ricordato in questi giorni - la conquista di Vienna che gli era sfuggita quando erano i «malvagi ottomani» che non giocavano a pallone ma combattevano i cristiani. Quella volta, nel 1683, furono sconfitti dai viennesi guidati da un frate cappuccino, Marco d'Aviano, confessore e consigliere dell'Imperatore d'Austria e creatore, ovviamente, del gustoso cappuccino.
Divago perché non ho analisi tecnico-tattiche da fare, se non il consueto invito al contropiede armato: Donadoni, sbagliando
contro l'Olanda, correggendosi
con la Romania, trionfando al terzo tentativo con la Francia, ha imparato a tirar fuori il meglio dai suoi e sono sicuro che contro la bella Spagna di Aragones schiererà una Nazionale intelligente e vigorosa che ha bisogno della fantasia di Antonio Cassano, della giovinezza di Aquilani (nuovo pilastro del centrocampo, vista l'assenza di Pirlo), della potenza
di De Rossi, dei gol di un Toni coi baffi. Forse di un Di Natale fresco come una rosa. Di un gruppo affiatato sotto la regia di capitan Buffon. E di tanta fortuna.

Adelante Italia, con juicio.
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