mercoledì 6 gennaio 2016
Carlangelo Mauro prosegue il suo benemerito lavoro di recupero degli scritti dispersi di Salvatore Quasimodo, il quale non ha avuto la fortuna di Eugenio Montale, la cui intera produzione (che parola inappropriata) è monumentalizzata in sei Meridiani Mondadori.Dopo aver raccolto in quasi novecento pagine i quasimodiani Colloqui  pubblicati sul settimanale Tempo dal 1964 all’anno della morte (1968), Mauro dà ora alle stampe gli scritti apparsi sul settimanale Le Ore dal 1960 al 1964, quindi anteriori alla collaborazione col Tempo (Edizioni Sinestesie, Avellino 2015, pagine XCVI+444, euro 25). Il titolo del libro, Il falso e il vero verde, riprende quello della rubrica sul settimanale, che a sua volta riproduceva il titolo della raccolta poetica quasimodiana pubblicata da Schwarz nel 1954 e l’anno dopo, ampliata, accolta nello Specchio mondadoriano. Quasimodo giornalista si sbizzarrisce a commentare l’attualità non solo letteraria, anzi, interviene sui voli spaziali, sul festival di Sanremo, sui teddy-boys (quanto tempo è passato) con il tono spesso supercilioso e talora corrucciato consentitogli dal Nobel ricevuto nel 1959. Interviene sui libri degli amici e di esordienti ora dimenticati, si toglie qualche sassolino (anche qualche macigno) e assapora vendette. Eugenio Montale non è mai citato, Giuseppe Ungaretti è brevemente bersagliato con sarcasmo. Con Emilio Cecchi, il critico che in occasione del Nobel aveva scritto sul Corriere il famigerato elzeviro che iniziava con «A caval donato non si guarda in bocca», è spietato: «Un critico mediocre», scrive Quasimodo il 13 febbraio 1960, «che ha una fama, come molti, costruita soltanto a memoria di generazione, ha scritto di me un "adagio" (ve bene nella sua scrittura) antichissimo, e cioè che "a caval donato non si guarda in bocca". Lo scrittore s’intende di cavalli, avendo stilizzato un libro che s’intitola Corse al trotto. Frequenta le stalle più che le case degli uomini e, mulo, invidia i cavalli». A ulteriore chiarificazione, la settimana successiva precisava: «Molti lettori non hanno capito a chi fosse diretto un mio epigramma recente, e vogliono sapere chi è quel critico, diciamo, equestre. Credevo che il nome di Emilio Cecchi fosse popolare almeno quanto quello dei suoi libri. Illusione: l’elzeviro è proprio un carattere evanescente».Maria Callas merita un cenno rispettoso: «Un giorno Maria Callas ha detto: "La mia voce non può andare su e giù come un ascensore". E quel giorno non ha cantato. L’hanno fischiata, e non hanno capito che non era un capriccio. Maria Callas era stata vinta da un severo esame con sé stessa. Il pubblico capisce solo ciò che riceve: non serve sapere come un artista si sia avvicinato al filo teso della perfezione, dopo studi e sacrifici inumani». Bizzarro (e calzante) il motteggio antidarwiniano: «Penso, al contrario di Darwin, che la scimmia derivi dall’uomo».Questi 846 scritti d’occasione meritano di essere sottratti alla polvere delle emeroteche, e si leggono con piacere memoriale. Nell’ampia Introduzione, Carlangelo Mauro glossa e puntualizza la traiettoria di Salvatore Quasimodo poeta, critico e osservatore di costume, e tra le cui frasi epigrammatiche ricorda il feroce necrologio di Ernest Hemingway: «Hemingway si è ucciso con due colpi di fucile. S’era preparato bene per l’ultima partita di caccia grossa. Contro sé stesso» (1960).Il corposo volume, prefato da Giuseppe Rando, contiene scritti di Sergio Mastroeni (sulla sicilianità del poeta), di Alessandro Quasimodo, che recentemente ha venduto all’asta anche la medaglia del Nobel paterno, e di Elena Candela, che non trascura il lato religioso di Quasimodo, che su Le Ore applaudiva le aperture conciliari di Giovanni XXIII. Questo aspetto è stato trattato adeguatamente in "Dio del silenzio, apri la solitudine" (Àncora, 2008) da Curzia Ferrari, il cui Gabriele D’Annunzio, studio del sentimento e filosofia dei personaggi, meritò gli ampi elogi di Quasimodo il 23 maggio 1963 su Le Ore.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI