martedì 15 agosto 2017

Ci sono stati artisti che hanno raccontato con poesia chi siamo. Ce ne sono stati altri che sapevano denunciare le storture con lucidità. Altri ancora hanno regalato rime ai valori. E poi c'è stato Enzo Jannacci. Uno che alla sera faceva il saltimbanco e la mattina dopo pronto soccorso, d'inverno cabaret e d'estate volontariato per extracomunitari.

A uno così, le canzoni nascevano nell'anima: e venivano differenti dalle altre, centrate su valori veri e saldi, perciò capaci di indignarsi senza pietà.

Soprattutto quando le dedicava ai ragazzi, da padre prima ancora che cantautore, dopo aver vissuto sino a macerarsi i giorni tragici dei morti per eroina e del sangue nei cortei, vedendo giovani smarriti cui gli adulti proponevano solo "concerti" di divieti, prediche, maschere. «E allora i ragazzi domandavano, non gli rispondevano… E allora i ragazzi si fidavano, ma sbagliavano, non capivano che era tutto un no! E allora i ragazzi sparavano… E allora i ragazzi si ammazzavano! Ma per morire si nascondevano, si vergognavano… …E allora concerto, concerto, concerto! Un concerto per dirvi… Che c'è magari qualcuno tra voi, che tra uno sputo e una spinta troverà un'altra penicillina, altre forme d'amore, forse un po' più di grinta: per cacciar via tutti gli imbroglioni… I cantanti… Cioè noi».

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