mercoledì 6 maggio 2020

È arrivato il momento di riprendere in mano l’Enciclia Laudato Si’ di papa Francesco e di rileggerla alla luce della pandemia. Gli scettici del cambiamento climatico potranno continuare ad avere voce in capitolo? Queste posizioni non sono solo al di fuori della Chiesa, ma hanno influenzato anche il sentire cristiano. Le critiche all’ecologia sono fin troppo alla moda. Come se il buon cristiano non avesse il dovere di prestare attenzione alla natura, complice un’interpretazione erronea del monito della Genesi di dominare il creato. Non solo non dobbiamo dominare l'universo, ma forse è arrivato il momento di servirlo.
Come mi faceva notare un amico prete, nel suo modo di esprimersi Gesù usa molte metafore legate al suo mondo, quello della Palestina del I secolo, popolato di pescatori, di pastori e contadini. Gesù, in quanto uomo, conosce bene ciò che lo circonda. Se non parla molto delle stelle, non ha però dove posare il capo. Questo significa che anche le stelle le ha contemplate. È più vicino al mondo vegetale e animale. Non abbiamo di lui un’iconografia – a mia conoscenza – dove la natura sia messa in rilievo. Tuttavia, il buon pastore – pensiamo ai meravigliosi mosaici ravennati – porta sulle proprie spalle un agnellino. Cristo è rappresentato poi come un agnello. E ancora non ricordiamo la storia del fico, ma anche quella del buon seminatore, per non parlare delle pecore che si allontanano dall’ovile?
Quelle parole parlano ancora oggi a noi, forse però è arrivato il momento di rituffarsi nella natura, nella conoscenza dei misteri che l’avvolge. Il virus ne è la prova, che questa natura è viva e che può mutare con il mutare delle nostre abitudini di vita. La spiritualità sarà o verde o non sarà proprio nel futuro prossimo, potremmo glossare con Karl Rahner che applicava questa formula alla mistica. Anche la teologia o sarà ecologica o non sarà. Dopo le grandi sfide dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, ora è l’epoca dell’ecologia. Conviene adattarsi subito, senza perdere tempo. Anzi mi sorprende che Gesù non sia ancora stato ancora interpretato sotto il profilo dell’ecologia.
Abbiamo bisogno di una cristologia ecologica, perché anche l’ecologia ritrovi un’ispirazione cristologica e quindi teologica. Abbiamo pensato la spiritualità in termini spesso fin troppo intimistici con Dio. Qualche volta ci siamo aperti agli “altri”, che poi sono semplicemente i miei fratelli e le mie sorelle nella fede e nell’umanità. Ma in fondo, il “verde” difficilmente fa parte della spiritualità.
In questo periodo di confinamento, nel bosco del Seminario di Lussemburgo, ho avuto più volte il desiderio di parlare agli alberi, di dare loro un nome. Poi mi sono arrestato: perché debbo dare un nome, imporglielo? La natura deve essere rispettata così come un essere umano. Non si impone a un amico un nome, ma lo si accoglie, così la natura non dobbiamo sottometterla, ma accoglierla. Sono banalità, ma le avevamo certamente perse…. un po’ come la pecorella smarrita. Forse che questa non sia la natura, oggi?

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