martedì 12 marzo 2019
La tiepida accoglienza riservata finora all'appello di Emmanuel Macron "Per un Rinascimento europeo" si può spiegare in diversi modi. Gioca certamente la diffidenza per un'iniziativa autonoma e che si ritiene nasconda aspirazioni egemoniche o comunque di leadership più meno esclusiva. Pesa anche, è probabile, la vicinanza con le elezioni dell'Europarlamento e il timore di molti governanti di scontentare fasce di elettorato che non amano Parigi e ancor meno l'attuale inquilino dell'Eliseo. Ma potrebbe anche incidere una certa tacita rassegnazione alla impossibilità per la Ue, in questa fase storica, di riprendere slancio e di risospingere indietro la marea euroscettica.
Quest'ultima spiegazione sarebbe la più deprecabile perché, con tutte le riserve che si possono avanzare sulla mossa del Presidente francese, quella lettera ha almeno il merito di agitare le acque stagnanti di un dibattito sul futuro dell'Unione incapace di decollare. Dibattito che resta inchiodato al dilemma semplicistico e pseudo ideologico "più Europa, meno Europa".
Sarebbe poi un peccato perché, nelle 1.500 parole che riassumono il pensiero di Macron sul "che fare" per il nostro Continente a rischio di declino, non mancano alcuni spunti degni di approfondimento. A cominciare dall'ammissione – non scontata per un figlio della grandeur gollista – che ciascuno dei Paesi membri preso da solo non è più assolutamente in grado di esercitare la sovranità nazionale alla vecchia maniera.
Nell'ambito della triade "libertà-protezione-progresso", che l'autore lancia come sintesi di un nuovo approccio al cammino comune, vengono ipotizzate numerose iniziative concrete in materia di diritti democratici, di sicurezza e di immigrazione, di difesa e di tutela della concorrenza, di sicurezza sociale, ambientale e sanitaria. Naturalmente, si tratta di idee tutte discutibili, alcune magari anche da respingere. Ma il modo peggiore di criticarle sarebbe quello di ignorarle.
Emergono semmai, a una lettura attenta della lettera, un limite generale di impostazione e almeno un paio di sorprendenti lacune che, proprio in una prospettiva di Rinascimento europeo, meriterebbero di essere colmate. Il limite si può cogliere nell'impianto complessivo dell'appello, piuttosto "difensivista" e preoccupato soprattutto di creare attorno all'Unione una rete di protezione idonea a parare i colpi provenienti dall'esterno, sul terreno economico e militare, oltre che su quelli "ideologici" e informatici.
Nell'unico passaggio in cui si parla di «proiezione nel mondo» dell'Europa, Macron si riferisce all'Africa e al suo futuro, immaginando «un destino comune» con il nostro Continente. E qui si manifesta la prima paradossale lacuna: in una visione geopolitica rivolta verso Sud, di per sé plausibile visto che America e Asia vanno ormai da tempo per conto loro, come si fa a dimenticare il ruolo del Mediterraneo? Soprattutto da parte di un Paese rivierasco come la Francia, stupisce che il grande "mare di mezzo" non sia neanche citato. Come insegnava dalle nostre parti un "visionario" molto realista come Giorgio La Pira, per l'Europa non ci può essere futuro e progresso se il Mediterraneo non diventerà un vero "lago di pace".
L'altra strana dimenticanza del capo di Stato francese riguarda la demografia. In un testo redatto per esortare a guardare al domani, stupisce la mancata considerazione della tendenza al declino della popolazione nella Ue. Un dato su tutti ne rivela la gravità: proprio quell'Africa alla quale si guarda da Parigi, quell'Africa che nel 1960 aveva poco più di metà degli abitanti dell'Europa, fra 30 anni ne avrà il quintuplo! Se davvero Macron voleva suonare la sveglia, forse ha scordato di inserire l'allarme.
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