sabato 21 luglio 2018
In molti passaggi la Bibbia dice che il cielo è la dimora di Dio. Basta ricordare la reazione divina alle trame degli uomini che vogliono scrollarsi di dosso i vincoli del Signore e del suo Messia: «Se ne ride chi abita i cieli» (Sal 2,4); oppure la splendida espressione di Isaia: «Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi» (66,1). C'è però un passaggio neotestamentario che tra tutti è il più affascinante a proposito della residenza divina: «Il solo che possiede l'immortalità e abita una luce inaccessibile» (1 Tm 6,16). La casa di Dio è tutta luce, impenetrabile all'occhio creato. Invadendo il cosmo di luce e cominciando proprio da essa a creare è come se Dio avesse voluto alloggiare e custodire tutte le cose in un ambiente non diverso da casa sua. La luce, primizia della creazione, spalanca gli sguardi sull'ospitalità divina. L'habitat preparato da Dio per le sue creature è del tutto analogo a ciò che in modo assolutamente naturale appartiene al creatore come manto e come casa. Questa specie di equipollenza tra dimora celeste e casa creata è caparra di un dono ulteriore che a Dio sta molto più a cuore: l'amore fraterno. «Chi ama suo fratello dimora nella luce» (1 Gv 2,10).
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