giovedì 4 novembre 2021
È sicuramente positivo avere a disposizione farmaci e tecnologie per curare tante malattie. Ed è altrettanto da apprezzare l'elaborazione di protocolli di trattamento per specifiche patologie, secondo evidenze consolidate e quindi con modalità standardizzate. D'altra parte si sente sempre più il bisogno di riaffermare la centralità del malato, con un approccio personalizzato che permetta di definire cure efficaci e appropriate per ogni paziente.
Nel contesto relazionale di "alleanza terapeutica", specie quando la situazione clinica si aggrava, le terapie usate sono fallite e si va verso la fase terminale di vita, sorge la questione: quanto insistere? A che punto fermarsi? Quando non iniziare alcuni trattamenti? Sono le domande che sorgono per tanti pazienti oncologici o con malattie neurodegenerative, e quindi parliamo del rischio di "accanimento terapeutico". Espressione infelice, anche se molto usata: meglio parlare di "ostinazione clinica", per la quale vi è un generale consenso su definizione e criteri di valutazione.
Infatti l'enciclica Evangelium vitae così si esprime: «Certi interventi medici non sono più adeguati alla reale situazione del malato perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche troppo gravosi per lui e la sua famiglia... si può rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita» (n.65) e il Codice deontologico dei Medici ci dice che il medico «non intraprende né insiste in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati».
Per cui sarà nel contesto della relazione medico-paziente e familiari, che spesso spingono a forme di ostinazione, attraverso il dialogo e l'informazione, che si valuterà la proporzionalità dei trattamenti possibili in vista del bene globale-integrale del paziente. Non tutto ciò che offre la medicina va sempre e comunque applicato. Si devono valutare elementi oggettivi (come la tipologia dei trattamenti, le conoscenze mediche attuali, le conseguenze possibili) e soggettivi (le condizioni psicologiche del paziente, i suoi valori ispiratori e i bisogni spirituali) E quando il paziente non può più esprimersi va considerata la pianificazione condivisa delle cure definite in precedenza. e le eventuali disposizioni anticipate espresse. Lottare per vincere la malattia e prolungare la vita è un principio fondamentale della medicina, che però non è onnipotente e deve confrontarsi con i propri limiti e la condizione fragile e mortale dell'uomo. Quando non si può guarire è importante continuare a curare (vedi le cure palliative) e accompagnare con il discernimento della sospensione o non attivazione di trattamenti ormai sproporzionati.
Cancelliere
Pontificia Accademia per la Vita
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: