mercoledì 23 marzo 2016
    Un politologo che si dà al romanzo? Non senza diffidenza ho cominciato a leggere La provvidenza rossa, di Lodovico Festa (Sellerio editore, Palermo 2016, pp. 544, euro 15), una storia collocata nel 1977 nell’habitat del Partito comunista milanese che Festa conosce bene essendone stato, al tempo, dirigente. Festa sarà poi tra i fondatori del Foglio e, fra i suoi libri, va citato almeno Ascesa e declino della Seconda Repubblica (2012).Si comincia con un delitto. La fioraia Bruna Calchi, militante comunista, è stata ammazzata da colpi di arma da fuoco nel suo chiosco, alle 7 di mattina. Virgilio "Gillo" Pessina, segretario provinciale Pci, già preoccupato per l’andamento fiacco della campagna di tesseramento, vuole appurare che il movente non sia politico e comunque tale da danneggiare il buon nome del partito, e incarica il presidente della commissione regionale dei probiviri, Giuseppe Dondi, con il vicepresidente Mario Cavenaghi, di condurre un’appropriata inchiesta, parallela a quella della polizia.Fin dalle prime pagine, dunque, si viene a sapere che il partito ha un’efficientissima rete che duplica la struttura sociale: in ogni settore il Pci ha un suo uomo (o donna) che informa, traffica, prende iniziative o sostituisce, mantenendo tutto sotto il controllo del partito. Oltre al raccordo col sindacato, ovunque c’è un tacito rappresentante comunista: dal nucleo dei becchini del cimitero Monumentale, ai giri delle scommesse truccate sulle corse dei cavalli e della prostituzione in zona Fiera, senza trascurare gli appalti per la costruzione dei parcheggi sotterranei, e sempre più su.L’inchiesta di Cavenaghi (il vero protagonista) si intreccia con quella della polizia coordinata dall’ispettore Francesco Modena, secondo lo stile della casa comunista: «Doppiezza dove era possibile, ambiguità dov’era necessario, non far mai capire che cosa bolliva nel Pci, seminare un gioco di ombre e contrombre su tutto».Di capitolo in capitolo, il cerchio si allarga sempre più: la fioraia è stata uccisa con una Maschinenpistole, proprio come quelle sequestrate ai nazisti alla fine della guerra, e che nessuno doveva sapere custodite nella sezione Sempione del Pci; c’è il sospetto di un giro di droga e, più ancora, di mafia, e del resto la fioraia non era propriamente un fiorellino; e che dire dei frequentatori del nascente circolo dell’Arci gay?Festa aggiunge cerchi sempre nuovi, e uno si domanda come farà a tirare le fila di una storia così complicata che tiene sveglio il lettore fino a tarda ora. E il bello è che ci riesce davvero, è fantastico! Perché questo non è un saggio travestito da romanzo, è un romanzo-romanzo, di scrittura specchiante, in cui ogni personaggio, anche minore, diventa indimenticabile perché descritto nei connotati dentro e fuori. Fatti e personaggi, naturalmente, «sono frutto dell’invenzione narrativa», ma si capisce che la storia è verosimigliante, e alcuni nomi lo lasciano trasparire. Il padre Tacchi del Centro San Fedele, è forse padre Macchi (trattato con rispetto), e il segretario della Fiera, Palombo, è probabilmente l’avvocato Colombo, così come Ramò, "l’uomo ombra" di Berlinguer, è Tatò, ma non è questo che interessa. Interessa, e molto, il quadro di un ambiente la cui unica moralità è la difesa dell’ideologia, per la quale si prescinde dalla vita privata dei "compagni" e non si esita a imputare di assassinio un innocente, pur di salvare l’onore del partito. Restano i sensi di colpa come quello del Cavenaghi che nel 2015 non può fare a meno di mettersi a scrivere quella storia che, evidentemente, era impossibile rimuovere. E con nostalgie inconsciamente percepite, come al funerale della fioraia: «Arrivati alla fossa, i comunisti rimasti arrotolarono le bandiere. La bara fu sepolta. Pure tra gli atei più convinti passò per un attimo il pensiero che un saluto così, senza neppure quel tocco cerimoniale che c’era nei tempi eroici, aveva qualcosa di arido. Qualche saluto con il pugno, in cui due o tre si avventurarono, non fece che rattristare l’ambiente». Un bellissimo romanzo. Così bene inventato che sembra vero. Così vero che sembra inventato.
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