venerdì 17 gennaio 2014
   Un libro e un film ci confermano nella constatazione dell’enorme differenza che passa tra chi cresce nel nostro Paese e nelle parti più «assestate» e ricche del pianeta, nonostante la crisi, e chi cresce negli altrove di scarsità, guerra, oppressione ideologica. Il libro è Non dirmi che hai paura  di Giuseppe Catozzella (Feltrinelli), il film è Il capitale umano  di Paolo Virzì – che sembrano destinati entrambi, ed è bello, a notevole successo di pubblico. Il primo è la storia della ragazzina somala che prese parte alle olimpiadi di Pechino e sognando quelle di Londra fuggì da Mogadiscio dominata dalla guerra civile e perì nel nostro mare. È riuscito a Catozzella di raccontare la storia in prima persona, come narrata dalla medesima protagonista, Samia, e non era facile, gli è riuscito di renderne con pudore e commozione le esperienze e le speranze, l’ostinazione nel perseguimento di un sogno, insieme a un destino avverso nel quale le responsabilità della parte ricca del mondo hanno avuto (hanno, su migliaia e migliaia di altre giovani vite) il loro peso. Nel film di Virzì lo scenario è tutt’altro: una Brianza ricca (ma avrebbe potuto essere Emilia o Veneto, e in modi solo apparentemente diversi certe parti del Sud) dove gli arricchiti sono spregiudicati e cinici a imitazione dei tanti dominatori nazionali e internazionali di economia e finanza. Anche qui sono i giovani le vittime, e il film sa dirlo con molta forza, diviso tra una prima parte «genitoriale» e sarcastica e una seconda «filiale» e partecipe. Essi sono, infine, più che le vittime i capri espiatori della «normale» mascalzonaggine degli adulti loro padri. Padri e non madri, perché le madri figurano – le due donne al centro del racconto e tutte le altre – ossequienti ai modelli che gli uomini impongono, anzi alla loro economia; al ricatto del benessere, dei danèe. Ciò che unisce Samia e Serena, la ragazza del film di Virzì, è una ricerca di pulizia e, anche nel caso di Serena, di riscatto, di un modo di vivere non condizionato dalla violenza delle ideologie e del denaro. Ma se si può pensare che di Samia ce ne siano nel mondo tantissime, si resta nel dubbio – ed è questo ad angosciarci – che di Serena ce ne siano in Italia tante, e che possano liberarsi dai ricatti dell’ideologia del denaro.
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