Don Sebastiano Kondzior a Roma«Il ritorno al senso di una presenza oltre la solitudine»
giovedì 25 giugno 2020
Se si chiede a don Sebastiano Kondzior, cappellano del Policlinico Tor Vergata di Roma, se durante la pandemia ha avuto paura del contagio, le sue parole danno il senso del servizio pastorale. «Prima di tutto – spiega – bisogna sapere per quale motivo ci si trova nell’ospedale, chi vi è accolto, chi rappresentiamo, qual è il nostro fondamento. Quindi, è ovvio che non c’è nessuna paura o difficoltà a stare accanto ai malati. Nella figura del sacerdote loro vedono un punto di riferimento, una persona alla quale rivolgersi quando hanno bisogno di coraggio». Dunque, rimboccarsi le maniche e fare di tutto per reagire a una situazione di grande stress, è stata l’unica preoccupazione. «Quando è scoppiata la pandemia non è stato facile per nessuno, era una nuova situazione, nessuno sapeva come comportarsi. Era un’incognita sia per i pazienti che per il personale. I primi tempi nelle terapie intensive tutti erano impauriti». Le misure di sicurezza e i divieti di accesso per i familiari hanno accresciuto il senso di isolamento. «Ricordo benissimo i primi giorni, quando siamo diventati ospedale Covid: il personale sanitario mi diceva “don, non venire perché è pericoloso, prega solo per noi”. Il lavoro lì è stato molto duro». Ma don Sebastian non si è tirato indietro. E ha girato tra i reparti Covid per dare conforto, pregare insieme ai pazienti. «La presenza del cappellano dentro la struttura è importante. Molti hanno bisogno di un sacerdote per parlare, trovare incoraggiamento, camminare in modo più sicuro. La solitudine spesso gravava tantissimo sulle persone, soprattutto se anziane, ancora di più su tutte quelle che non sanno usare la tecnologia, non sanno fare le videochiamate. Per loro una parola, la nostra presenza, la preghiera, erano fondamentali. Si riscoprono tanti bisogni profondi dell’uomo, che spesso sono nascosti». E poi c’era anche il momento di preghiera da dedicare alle persone che non ce l’hanno fatta. «Andavo nella camera mortuaria per fare la benedizione ai pazienti deceduti. Le chiese erano chiuse e non si celebravano le Messe col popolo. Noi eravamo gli unici a poter dare alle famiglie la parola del conforto. Con questo virus il nostro servizio è diventato ancora più efficace». Ed è aumentata anche la sua forza? «No, non è cambiata. Quella arriva sempre da Dio, è lui che me la dà. Questa per noi è una grazia». (G.Mel.)
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