sabato 3 aprile 2021
Leggo su Avvenire (Edizione di Milano) del 1° aprile: «Oggi al via le celebrazioni del Triduo». Mi richiama un titolo Queriniana nel 1992, «Liturgia del Triduo Pasquale. Messale, lezionario, liturgia delle ore», di Luigi Della Torre (1927-1996). Lo chiamavano anche Gino. Nativo di Pizzighettone (Cremona), ma cresciuto ad Ascoli Piceno. Studia fisica, poi filosofia e teologia, e diventa prete, ma il nuovo vescovo non gradisce la sua presenza ed eccolo a Roma a fine anni 50, imitato da teologi aperti come Duilio Bonifazi, e da un grande uomo di musica sacra, Laureto Bucci. A Roma studi di liturgia, prime pubblicazioni sul rinnovamento dopo il Concilio e lezioni presso varie facoltà…Inizia così una collaborazione feconda con la Queriniana di Brescia di padre Piergiordano Cabra, e fa epoca il suo libro «La nuova Messa», guida al rinnovamento voluto da papa Giovanni XXIII e da Paolo VI, con una straordinaria diffusione. Sempre con Queriniana ha ideato "Servizio della Parola", mensile dedicato in particolare all'omelia, strumento prezioso fino ad oggi. Lui è stato in senso proprio tra gli apripista fondamentali dell'applicazione liturgica del Concilio, fedele alla tradizione e insieme capace di rinnovamento pur tra contrasti e difficoltà, perché la riforma trovava, e per anni ha trovato anche negli organi di Curia forti resistenze e accuse concentrate su nomi illustri tra cui ai primi posti il suo. Prete a Roma è attivo nella parrocchia della Natività, guidata dal grande pastore don Luigi Rovigatti, poi vescovo e vicegerente di Roma, che lo designa suo successore alla Natività. Anni difficili, dal '68 in poi, nel quartiere ove infierivano i nostalgici accusatori del Concilio anche con episodi di violenza contro la parrocchia e i suoi preti. Paziente e obbediente va avanti, ma a metà anni '70 con decisione mai spiegata e motivata un brusco ordine gli impone di abbandonare la parrocchia, con evidente lesione di ogni diritto e di ogni giustizia, ma lui resiste a chi gli consiglia di ribellarsi e continua il suo lavoro nascosto, ma fecondo al servizio della liturgia, e quindi dell'Eucaristia fino alla morte precoce, nel 1996. Che dire? Mai da lui una parola meno che corretta nei confronti anche dei suoi "carnefici" più o meno coscienti della giustizia e della verità. Un grande uomo di Chiesa se a questo termine si dà il senso del mistero di comunione del popolo di Dio, fratello di tutti, inesauribile per capacità di donarsi e di accogliere, saggio nel consiglio e nella direzione spirituale senza pretesa di sostituirsi alla coscienza, e tantomeno a Dio. Molti anche nella Chiesa lo hanno fatto soffrire, ma non ha mai avuto una parola di risentimento. Obbediente nella piena realtà di spirito dei figli di Dio, mai servile; libero ma fedele, creativo; mai anarchico, pastore; mai succube delle mode anche ecclesiali. I suoi scritti un patrimonio a disposizione, una specie di breviario di 30 anni di Chiesa cattolica e di vita diocesana a Roma. Vanno ricordate le sue meditazioni liturgiche sull'Eucaristia centro della vita del popolo di Dio, sul Sacramento dei malati e infine proprio sul morire: una miniera di spiritualità non solo sacerdotale ma cristiana tout court. Al suo funerale le lacrime di tanti furono un segno dell'utilità del suo servizio fino alla fine. La mitezza colta, fine, avvertita, ragionata, pregata, sofferta anche nei momenti più duri di avversità che gli giunse da chi mai avrebbe dovuto avversarla è uno dei segni distintivi della sua vita, eppure mai dalla sua bocca, in tanti anni, un cenno di risentimento personale o di desiderio di rivincita umana. A lui stava a cuore la Chiesa, popolo di Dio, il suo cammino nella storia, la sua capacità di leggere i Segni dei tempi e di tradurre il messaggio senza mai tradirlo, di scegliere dalla parte degli ultimi, di accostare i lontani per farli vicini senza conquistarli se non a Cristo. Esempio vero di cammino sulla strada della mitezza fedele, libera, creativa e obbediente a Dio prima che agli uomini. Grande amico, fratello, padre, maestro.
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