mercoledì 18 ottobre 2017
Gli antichi greci avevano capito tutto e, attraverso i miti e la letteratura, hanno saputo cogliere non solo i meccanismi psicologici che distinguono l'uomo da ogni altra creatura, ma addirittura il modo di essere dell'anima e del corpo, esplicitando gli archetipi antropologici (e metafisici) giunti fino a noi perché eterni.
Freud e Jung hanno attinto a piene mani in quel tesoro, dando alle loro scoperte i nomi dell'antichità greca: il complesso di Edipo, il complesso di Elettra, eccetera.
In letteratura, poi, i greci hanno elaborato modelli perenni, non solo nei poemi epici, ma anche nelle tragedie, nelle commedie, nella poesia lirica e giocosa, negli epigrammi… Del resto, Vladimir Propp, nella sua Morfologia della fiaba (1928) ha identificato 32 funzioni (non di più) che definiscono la struttura della fiaba e di qualunque narrazione secondo uno schema in quattro atti: 1. Equilibrio iniziale (esordio); 2. Rottura dell'equilibrio iniziale (movente o complicazione); 3. Peripezie dell'eroe; 4. Ristabilimento dell'equilibrio (conclusione).
La struttura è sempre la stessa e, a ben guardare, ogni romanzo, dai Promessi sposi in giù e in su, vede in azione due che si amano e intendono sposarsi, ma un cattivo si intromette e, dopo una serie di peripezie, si arriva al lieto fine o alla tragedia. Naturalmente il bello è come lo scrittore riesce a muoversi nello schema e ad abbigliarlo, come i grandi sarti sanno fare rivestendo sontuosamente il loro manichino.
Non c'è da meravigliarsi, dunque, che anche i cartoni animati di Walt Disney riprendano, al loro livello, i miti arcaici, e chi volesse conferme può ricorrere al disinvolto librino della giovanissima Erica Gallesi (1993), Da Pigmalione a Pinocchio (Editoriale Jouvence, pp. 96, euro 10), avallato dall'introduzione dal filosofo Giulio Giorello il quale, fra l'altro, osserva che «nel primo Walt Disney era compito della magia trasmettere per animare cose solitamente inanimate», compito attualmente assunto dalla tecnica, al punto che «si può ritenere che la tecnologia sia la magia dei nostri giorni».
Nella prima parte, Erica Gallesi rintraccia in autori anche meno noti come Cratino, Teleclide, Ferecrate, Nicofonte, Metagene, vari esempi di utopia gastronomica e di automatos bios, cioè di oggetti inanimati che prendono vita mettendosi a servizio degli uomini o lavorando in loro vece, non senza allusioni all'auspicio di affrancamento dalla schiavitù. Siamo immediatamente nell'immaginario disneyano, fin dall'Apprendista stregone, dove Topolino, volendo imitare il mago suo maestro, si trova a mal partito con gli elementi da lui stesso scatenati. Anche in Mary Poppins troviamo automatos bios: «Dall'ombrello chiacchierone alla camera che si sistema schioccando le dita, dai disegni che si animano e accolgono al loro interno i protagonisti, ai tavoli e alle teiere volanti».
Anche nella storia de La Bella e la bestia, che riprende il mito di Faone, troviamo automatos bios a servizio della Bestia: il candelabro Lumière, l'orologio Tockins, la teiera Mrs Brick e il figlioletto Chicco, eccetera. E potremmo continuare con gli esempi di trasposizione disneyana di miti arcaici, anche se per alcuni (quorum ego) si tratta di miti in versione kitsch.
La svolta avvenne con la Pixar la casa di produzione resa indipendente nel 1986 da Steve Jobs, l'inventore della Apple, e attualmente in sinergia con la Disney. Con Toy Story è il trionfo degli automatos bios, gli oggetti parlanti protagonisti assoluti. Il film nel 1995 incassò 361.958.736 dollari, essendone costati solo 30 milioni: ben si comprende che, dopo questo trionfo, i rapporti di forza tra la Disney e la Pixar subirono un assestamento.
Anche i cartoni animati Disney-Pixar sembrano rendere omaggio alle fiabe, ma, conclude Erica Gallesi, «sono in realtà dovuti ai profondi archetipi che le fiabe inconsapevolmente portano con sé: frammenti di verità che fanno capolino nel folklore e che rendono eterna la saggezza popolare».
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