giovedì 19 luglio 2018
Dallo sguardo di Dio posato sul suo Figlio vedendo in lui il modello per la realizzazione del mondo passiamo ora agli occhi divini posati sulle creature. Che tipo di sguardo è quello che Dio rivolge a ciò che ha prodotto o con la sua parola o con le sue azioni? Può essere una semplice costatazione obiettiva? Il mero riscontro di una coincidenza perfetta tra l'ordine dato e la sua esecuzione? Lo sguardo di Dio è anche questo e tuttavia trascende la mera costatazione. L'occhio di Dio – ricordando che in ebraico il termine ('ayin) è il medesimo per indicare la parte anatomica, il pozzo e la sorgente – è una fonte di bontà per ciò che ha incominciato a esistere. Lo sguardo divino è un giudizio sull'operato, ma ancora di più è la concessione piena di ciò che Dio veramente vuole vedere in ciò che ha realizzato: totalità di bene. Nel testo originale al suo stato puramente consonantico l'aggettivo che rendiamo con “buono” si scrive twb. Il suono non è univoco. La pronuncia prevalsa è tôb per cui siamo ormai avvezzi a intendere “buono”. Si potrebbe però anche leggere tûb, che significa “felice”. Dio vuole vedere ogni sua creatura felice. Dio desidera il suo creato pieno di gioia. Sfumatura da non dimenticare, per la quale anzi avere molto occhio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI