domenica 26 aprile 2020

Parole in libertà, in giorni senza libertà: chiusi per virus, non possiamo fare. Ma possiamo continuare a pensare…

Giorno 46

C’è una cosa che questa pandemia ha senz’altro rubato senza possibilità di restituzione, nemmeno a rate e con interessi sottozero. L’ha rubato ai ragazzi che ancora non sanno come sarà il loro esame di maturità, perché la ministra ancora sta studiando, e la sua commissione di cervelli fumanti pure, ma fanno uscire solo indiscrezioni a piccole dosi: così, per vedere l’effetto che fa. E' una tattica di tutti i provvedimenti di questi giorni incerti che riguardano la scuola, ma non solo: lasciano che se ne parli prima, così quando arrivano davvero uno si è già abituato al sapore cattivo.

L’oggetto del furto con scasso si chiama tema di maturità, il tanto temuto “scritto” che - questo almeno è ormai certo – non si farà. Qualcuno esulta, a qualcuno interessa poco, perché pensa che al massimo accelera la pratica. Ma, se posso permettermi, credo invece sia una colossale fregatura. Almeno per chi l’esame lo considera un confronto con se stesso, e uno scollinamento indispensabile della propria vita. Ecco, a chi si riconosce in questa categoria, mi sento di dire che vi hanno derubato. E non lo penso perché scrivo per mestiere e se me lo impedissero per decreto ci resterei malissimo, ma perché in un mondo che urla, scrivere è l’occasione più utile che resta per misuraci con la realtà.

Scrivere rimane, le parole passano. Scrivere è ricordare, certo, ma anche immaginare. E’ avere nostalgia del futuro, quella malinconia che ci prende quando le cose non ancora accadute ci mancano già. Scrivere è dire una cosa vecchia in un modo nuovo. Scrivere è alzarsi di notte per mettere giù un pensiero perché altrimenti la mattina dopo non te lo ricordi più. Scrivere è viaggiare senza la seccatura di preparare le valigie. Scrivere è mettere a posto le cose, fissare quello che conta, cancellare il superfluo. Scrivere è abituarsi a farsi capire davvero, a essere chiari, ad archiviare un’emozione. L’emozione che un virus vi ha tolto, obbligandovi a un esame senza la parte più creativa.

Già, perché scrivere è prima di tutto leggere, ed è ascoltare una canzone. E’ curiosità degli altri, altrimenti che scrivi a fare. Per se stessi si scrive solo la lista della spesa, tutto il resto è per dire qualcosa. Scrivere ti inchioda alla responsabilità di quello che sostieni. Scrivere ti abitua a fare fatica: “sono stato tutta la mattina a pensare se aggiungere una virgola, e nel pomeriggio l’ho tolta”. La frase è di Oscar Wilde e insegna che i dettagli contano, e che scrivere abitua anche a questo.

Scrivere è qualcuno che ti dice: ecco, hai detto quello che io riesco solo a pensare. Nulla dà più soddisfazione, e anche questa invece vi hanno tolto. Lasciandovi con la penna in mano in una società che dice prima di ragionare, quando scrivere invece impone il contrario. Vi hanno rubato soprattutto la possibilità di esprimervi senza fare solo una crocetta in un quadratino: vi resta una vita scandita dai test, dove la risposta giusta è una su tre, quando invece vorreste lasciare tremila impronte. Maledetto virus, ti odio anche per questo. E te lo scrivo, così te ne ricorderai.

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