venerdì 17 aprile 2020

Parole in libertà, in giorni senza libertà: chiusi per virus, non possiamo fare. Ma possiamo continuare a pensare…

Giorno 37

Il signor Alberto Da Rin, ieri ha preso carta e penna (forse ha mandato una mail, ma è più bello immaginarselo così) e ha scritto al suo giornale preferito: «Buongiorno, ho 72 anni e abito da solo in un monolocale a Trieste. Sto benissimo ma non ne posso più: se non mi faranno uscire di casa presto, se non morirò di Coronavirus morirò di certo di depressione… ». Ancora non sapeva, il signor Alberto, che il comitato scientifico di supporto al governo – uno dei tanti che stanno lavorando alla Fase 2, per ora con risultati non pervenuti – sta preparando un piano di rientro alla vita sociale che prevede per la sua categoria tempi più lunghi. Insomma, per dirla brutalmente: gli anziani sono quelli che se ne vanno per primi, ma a quelli che restano diranno che usciranno per ultimi.

Il provvedimento allo studio che prevede lo scaglionamento anagrafico come criterio temporale per superare il coprifuoco, parte dal dato incontestabile che chi ha un’età avanzata è più vulnerabile al contagio, e che per questo va protetto più degli altri: il 95% dei decessi da Coronavirus (“per” o “con” probabilmente non lo sapremo mai) riguarda persone con più di 60 anni. Il problema è che l’Italia è il Paese più anziano del mondo dopo il Giappone: ne ha 13 milioni. E che ovviamente gli studiosi sono già divisi anche su questo.

Riassumo per farla breve le tesi che ho raccolto: per i matematici, liberare i vecchi per ultimi è una necessità suggerita dai numeri; per alcuni biologi non lo è, visto che la possibilità di infettarsi non dipenderebbe dall’età ma da fattori sociali come professione, densità di popolazione, stato di salute individuale e abitudini sociali; per i giuristi una discriminazione in base all’età in generale sarebbe vietata dalla Costituzione; e alcuni gerontologi invitano a valutare con equilibrio gli effetti fisici e psichici che la quarantena sta producendo sugli anziani che, se in buona salute, avrebbero un profilo di rischio inferiore a quello di un cinquantenne fumatore.

La cosa peggiore di essere vecchi oggi insomma forse non è tanto essere in là con gli anni, quanto doversi sentire giudicati e vivisezionati da chi è troppo giovane per sapere cosa significhi. E non poter decidere da soli, facoltà che invece dovrebbero possedere per legge: non solo perché sono grandi abbastanza per farlo, ma perché si conoscono meglio di tutti. Sanno come curarsi, perché già lo fanno da quando non sono più giovani. Sanno come vestirsi, come comportarsi: molti di loro hanno ricostruito questa nazione dalle macerie e ci hanno regalato il benessere del quale oggi noi approfittiamo senza ricordarcene. Ci hanno fatto infilare il maglione quando serviva, ci hanno accudito meglio di qualunque virologo, sono portatori sani ogni giorno di pazienza, rispetto, resistenza, esperienza, comprensione. Pensate che non siano in grado di sapere se uscire di casa o meno quando apriranno le gabbie?

Io credo di sì, come credo che guardandoli oggi, questi anziani impauriti ma fieri e in molti casi più ottimisti di noi ex ragazzi, invecchiare non mi dispiace affatto. E’ un privilegio negato a molti, e mi prenoto per non perderlo.

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