giovedì 9 aprile 2020

Parole in libertà, in giorni senza libertà: chiusi per virus, non possiamo fare. Ma possiamo continuare a pensare…

Giorno 29

Un noto marchio automobilistico giapponese sostiene che nel mondo occidentale sia giudizio comune che una persona necessiti di 10mila ore di studio per ritenersi esperta di una materia. In Giappone invece non si viene considerati maestri di un’arte fino a che non si raggiungano 60mila ore di affinamento delle proprie abilità, l’equivalente di 8 ore di lavoro quotidiane, per 250 giorni l’anno, nell’arco di 30 anni. Non so se questi conteggi siano del tutto verosimili. Primo perché credo che non possa esistere una regola precisa in materia, e secondo perché in questo tempo di verità fasulle, non mi fido nemmeno di quello che penso io. Il confronto giapponese però mi è sembrato assolutamente valido e d’attualità leggendo un’interessante denuncia del biologo Enrico Bucci, che ha calcolato come oltre la metà delle pubblicazioni scientifiche uscite da gennaio a oggi sul tema del Covid-19 sarebbe fatta di articoli e di editoriali che non hanno alcuna rilevanza scientifica.

Il dato mi pare impressionante, ma in linea con la realtà attuale, fatta di virologi e ricercatori che litigano e si contraddicono in televisione: sempre gli stessi, per ore, da un canale all’altro. Che viene voglia di chiedergli che mestiere facciano se in momenti come questi vivono costantemente in tv anziché nei loro laboratori. Nulla però a confronto, per fare un esempio, all’espertissima Selvaggia Lucarelli che, abbassate le palette dei voti a quelli che ballavano sotto le stelle, ora discetta di contagi e tamponi e risponde alle domande dei lettori su un quotidiano. O, più in generale, alla spasmodica diffusione di pareri su una materia tanto difficile e sensibile da parte di chi non ha arte, e la parte se la è costruita sul nulla.

Non credo sia questo ciò che meritiamo. Ma la crescita del tasso di impreparazione, paragonabile solo a quella del nostro debito pubblico, è il prezzo che stiamo pagando per aver rinunciato alla meritocrazia. Da tempo ci siamo assuefatti all’idea che la competenza sia un dettaglio, abbiamo dovuto digerire la sciagura della rivoluzione orizzontale, e la gran boiata dell’uno vale uno. Ce ne accorgiamo davvero solo adesso, nel momento in cui per uscire da questa disgrazia avremmo bisogno invece di grandi visioni, di linee guida magari un po’ più adulte del “chiudetevi in casa perché non sappiamo cosa altro dirvi”.

Riconosco che non sia facile: ci vorrebbe un genio che prevalga sui tuttologi. O qualcuno che almeno gli assomigli. Nell’attesa, mi accontenterei di poter scegliere di ascoltare solo chi sa davvero, e ha la voglia e la capacità di spiegarmelo, possibilmente solo nei suoi ritagli di tempo.

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